L’economista Roberto Perotti ha scritto un bellissimo articolo sul Sole 24 Ore (giovedì 10 gennaio) spiegando quali siano le ragioni del fallimento dei tentativi di taglio della spesa. Tutti vogliono ridurre le imposte, questa è la direzione decisiva se l’Italia vuole riprendere a crescere. Peccato che poi le proposte concrete di finanziamento di questa riduzione, sia dei partiti sia degli studiosi – non si può immaginare di farlo in disavanzo o con nuovo debito – siano spesso generiche, poco fondate e velleitarie. Ha ragione. Non ci sono serie alternative, per questo fine, alla riduzione della spesa. Anche se sarei meno pessimista, tra l’immobilismo e l’inferno qualche altra misura può essere pensata. Ci torno fra un attimo.
L’autore non si rende conto però che nel suo giusto argomentare sulla vaghezza delle proposte di riduzione delle imposte e l’impossibilità di farlo senza misure di riduzione della spesa, apre la porta, involontariamente sia chiaro, a soluzioni straordinarie.
La teoria economica e la storia delle crisi di debito ci dimostrano che esistono tre possibili soluzioni al riguardo:
a) un default, che non solo è impensabile nel caso italiano, ma anche impossibile nell’attuale contesto europeo;
b) l’inflazione, che potrebbe derivare dall’uscita dall’euro e dalla svalutazione della moneta, opzione anch’essa impossibile – gli altri paesi dell’euro non ci farebbero uscire e comunque sarebbe per l’Italia un disastro;
c) infine la capital levy, ovvero un’imposta straordinaria, ipotesi circolata nell’ultimo anno in Italia in diverse versioni.
Siccome appunto le prime due sono impraticabili non resterebbe che la terza. Sia chiaro, anch’io ho molti dubbi, che sia la giusta soluzione. Non solo per i possibili effetti recessivi, per le difficoltà di applicazione – sui redditi o sul patrimonio? quali patrimoni? calcolati come? solo per le persone fisiche? quali titoli finanziari o intermediari? che succede al catasto? come fissare le esenzioni? – per il possibile rischio di fuga di capitali, per il probabile segnale di allentamento del vincolo di bilancio che i politici potrebbero sfruttare, dicendo che l’emergenza è finita e si possa riprendere a spendere come prima.
Però se ridurre la spesa è impossibile que reste-t-il? Diventa come egli dice un problema di ordine pubblico? Capisco il punto ma spero proprio di no, non ho nessuna voglia di vedere i militari davanti alle banche come in Argentina! Invece qualcosa si può fare prima di arrivare all’arma “fine di mondo” di kubrickiana memoria, almeno vale la pena di tentare con un po’ più di ottimismo.
E allora, in primo luogo, uno spostamento del prelievo da lavoro e impresa a consumi e patrimoni (tassati per via ordinaria) potrebbe sicuramente avvicinarci ai sistemi fiscali degli altri paesi, con ovvi vantaggi sulla crescita economica e la posizione competitiva del paese. Alcuni studi empirici recenti in sede Ocse e Fmi dimostrano l’effetto positivo robusto sulle esportazioni e la crescita – anche se il vantaggio della “svalutazione fiscale” sarebbe temporaneo – e che le imposte sul reddito da lavoro e da impresa sono quelle più distorsive.
Siamo consapevoli che le imposte indirette tendono ad essere più regressive di quelle dirette. Il maggior gettito ottenibile dovrebbe essere perciò restituito alle famiglie e agli individui con redditi bassi e con maggiori indicatori di bisogno (carichi familiari, spese sanitarie, ecc.). La restituzione potrebbe riguardare la riduzione delle prime due aliquote Irpef, oppure, più efficacemente, comportare il potenziamento di alcune forme di detrazione che maggiormente influenzano il profilo distributivo dell’Irpef – lavoro dipendente e pensioni, carichi familiari, ecc.
Una drastica revisione del sistema attuale di tax expenditures, potrebbe rendere meno distorsivo il prelievo e liberare risorse per ulteriori interventi sui contribuenti più bisognosi. Inoltre, una semplificazione del sistema fiscale, riducendo tempi e costi di adempimento e quelli di controllo dell’amministrazione finanziaria – ad esempio, l’amministrazione potrebbe precompilare la dichiarazione dei redditi – e l’intensificazione della lotta all’evasione possono dare un contributo significativo. Ultimo punto: la riduzione della spesa è in Italia una questione di qualità dell’amministrazione pubblica e di capacità organizzative e manageriali – come dimostrano il caso inglese e francese.
O noi crediamo che sia possibile ancora agire e rendiamo le misure di revisione delle spese politicamente sostenibili, oppure sappiamo cosa ci attende.
Pubblicato sul Sole 24 Ore il 19 gennaio 2013