Sovranità

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Per un breve periodo, due anni fa, avevo tenuto una rubrica dove periodicamente segnalavo le cose a mio giudizio più interessanti comparse sui blog e sui siti web economici italiani (pochissimi), europei (pochi) e anglosassoni (tanti).
Mauro Maré fu tra i pochi a notarla – con lui e Alfredo Macchiati abbiamo poi aperto questo sito. “Dal web” di Crusoe, nasce anche dai bookmark che Mauro e io scoprimmo allora di condividere.
 
A quanto pare stavamo puntando sulla cosa giusta: la crisi economica ha fatto esplodere il numero di persone che frequenta blog e siti web economici, al punto che anche l’informazione economica classica su carta stampata, come il Wall Street Journal deve occuparsi del fenomeno. A proposito, ho trovato questo articolo del WSJ attraverso un post del 16 luglio del Blog di Greg Mankiw.
 
Uno dei miei indirizzi preferiti è sempre stato Marginal Revolution, animato da Tyler Cowen (soprattutto) e Alex Tabarrok. Lo ritrovo puntualmente citato dal WSJ tra i “top sites”.
 
In un post del 20 luglio, Cowen richiama l’attenzione sull’attività più recente di Paul Romer. Noto per la teoria della crescita endogena, Romer si starebbe ora concentrando su un possibile fattore di crescita affatto esogeno, cioè la cessione di sovranità, il farsi governare da qualcun altro – l’esempio da lui più citato è la British rule su Hong Kong, ispiratrice delle zone di libero scambio sul resto del territorio cinese, a loro volta laboratori dello spettacolare decollo economico della Cina che è poi seguito.
 
In questo libro avevo, nove anni fa, sostenuto semi-seriamente che un modo di risolvere i perenni problemi di governabilità dell’Italia sarebbe di affidare il potere esecutivo al partito che perde le elezioni in Svezia, qualunque esso sia – non importa se si tratti di conservatori o progressisti, l’importante è che sia fatto di svedesi. Perché proprio la Svezia?
 
Credo l’ispirazione mi fosse venuta un po’ da Woody Allen – lo svedese è la lingua imposta a Bananas dal dittatore nel quasi omonimo film – e un po’ dal fatto che la squadra di calcio per cui tifo, l’ingovernabile AS Roma, ha vinto uno dei suoi miseri tre scudetti con un allenatore svedese (1982-83, Niels Lidholm) ed è andata vicinissima a un quarto con un altro allenatore svedese (1985-86, Sven Erikssonn).
 
Il fatto che nientemeno che Paul Romer ora sostenga tesi simili alle mie soluzioni svedesi mi lusinga. La prossima volta cercherò di prendermi più sul serio.
 
Nello stesso libro notavo anche, più convenzionalmente, come il processo di integrazione europea sia appunto questo: un trasferimento di sovranità da parte degli Stati membri a un’altra entità, la Comunità-Unione. Ha una sua peculiare bellezza perché è pacifico e perché mette tutti su un piano di parità: cedo la stessa porzione di sovranità che anche gli altri sono disposti a cedere e la cedo a un terzo. Idea presente nella costituzione italiana, all’art. 11. Viceversa nella storia le cessioni di sovranità sono per lo più accadute attraverso la sottomissione violenta a un secondo più forte.
 
Perché gli italiani sono euro-entusiasti? Perché apprezzano la possibilità che l’Unione offre di essere governati anche da svedesi. Perché gli svedesi sono euro-scettici? Perché detestano la possibilità che l’Unione offre di essere governati anche da italiani.
 
Sovranità nazionali vs. sovranità federale – oggetto di interminabili controversie. Non so ancora bene se con soddisfazione o con preoccupazione, ma noto che dall’altra parte dell’Atlantico la crisi economica ha stimolato la tendenza a paragonare la loro Potente Unione e-pluribus-unum-aquila- e-saette, con la nostra Debole Unione 12-stelline-in-tondo. Soprattutto in materia di politica fiscale, naturalmente.
 
L’ha fatto Paul Krugman in questo articolo (A Continent Adrift – NYTimes.com), dove lamenta che lo stimolo fiscale europeo è troppo debole rispetto a quello americano perché qui “non c’è nessun governo che può prendersi la responsabilità dell’economia europea nel suo complesso”.
 
L’ha fatto Melvyn Krauss, un economista della Hoover Institution, in quest’altro articolo (Europe’s Advantage – NYTimes.com) in cui invece vede come una virtù il non esserci un governo europeo dell’economia, perché, diversamente dagli Stati Uniti, non c’è nessuno col potere (federale) di salvare uno Stato membro dalla bancarotta. Moral hazard: se c’è qualcuno che alla fine ti salva ti comporti irresponsabilmente, spendi e spandi, sostiene Krauss. È il caso della California, dove ha sede la Hoover, che è appunto uno Stato sull’orlo della bancarotta.
 
C’è infine James Surowiecki, l’autore di The Wisdom of Crowds – La saggezza della folla. In questo articolo (The fifty states are hurting economic recovery : The New Yorker) – che ho raggiunto sempre grazie a Marginal Revolution – sostiene una tesi di nuovo opposta alla precedente. Lamenta infatti che “quasi tutti i governi degli Stati siano vincolati al pareggio di bilancio” – cosa di cui Krauss, invece, non fa menzione alcuna. Per avvicinarsi al pareggio occorre tagliare la spesa e/o aumentare le tasse.
 
In una crisi come questa, succede allora che la politica fiscale degli Stati è pro-ciclica e vanifica in gran parte gli sforzi anti-ciclici fatti a livello federale. Non solo: Surowiecki trova che negli ultimi due decenni c’è stata troppa devoluzione fiscale, gli investimenti nelle infrastrutture di servizi a rete come i trasporti e l’energia hanno bisogna di una scala federale, quella statale è insufficiente. Conclude così.
 
The tension between state and national interests isn’t new: it dates back to clashes in the early Republic over programs for “internal improvements.” Of course, the federal government is far bigger than it once was, and yet in the past two decades we’ve delegated more authority, not less, to the states. The logic of this was clear: people who are closer to a problem often know better how to deal with it. But matters of a truly interstate nature, like the power grid, can’t be dealt with on a state-by-state basis. And fiscal policy is undermined if the federal government is doing one thing and the states are doing another. It’s a global economy. It would be helpful to have a genuinely national government. 
  
Non ci sono stavolta paralleli diretti con l’Europa, ma un europeo come me che legge questo se li fa subito nella testa. Ad esempio colpisce che forse l’Europa, con quattro soldi quattro di bilancio federale, riesca a far meglio degli Stati Uniti nel coordinare le spese degli Stati nelle infrastrutture di rete – ferrovie, elettricità, comunicazioni.
 
Detto questo, non resisto alla tentazione di parafrasare la conclusione di Surowiecki: “È un’economia globale. Sarebbe utile avere un governo genuinamente europeo”.
 
Morale? Capire la sovranità dove risieda, in cosa consista, quali debbano essere i suoi limiti, nonché se sia sempre benigna può essere un esercizio molto difficile.

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