Scienza e politica è un binomio complesso ma indissolubile

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Basta piagnistei. Il sud deve cominciare a badare a se stesso e mettere in campo il meglio (Renzi dixit). Una apposita riunione fissata per il 7 agosto ove viene offerta ai Governatori meridionali l’opportunità di “imparare”,  riferire e di ricercare le soluzioni. Poi ognuno dovrà fare di suo.

Al di là della “lezione”, occorre tenere conto di un paradigma ineludibile: scienza e politica costituiscono un binomio complesso ma indissolubile. L’una non può fare a meno dell’altra per soddisfare le esigenze umane, specie quando queste sono compromesse da una imponente crisi, come quella attuale. Ecco perché i progetti di R&S assumono, sempre e comunque, il rango di investimento privilegiato per ripartire (cfr. fondi comunitari). La scienza deve pertanto assistere la politica che governa. Deve giustificare le sue scelte tra le tante possibili, altrimenti è il crack funzionale delle istituzioni. Una metodologia che nel sud, esteso a parte del centro Italia, è rimasta sempre allo stato teorico.

Non c’è buona economia che tenga se non si governa tecnicamente la spesa e se non rilancia l’investimento privato, generatore di occupazione.

Non c’è sanità degna di questo nome senza selezione delle migliori capacità scientifiche, assistite dal più attuale patrimonio tecnologico, e senza un preventivo rilievo del fabbisogno epidemiologico, funzionale a dare assoluta priorità all’assistenza territoriale.

Non c’è tutela idrogeologica se non la si affida, nell’emergenza e nella continuità, a chi sa tecnicamente difendere il territorio per poi (ri)programmare il relativo intervento urbanistico.

Non c’è turismo senza ricorrere alle più attente elaborazioni statistiche dei flussi e alla previsione della domanda internazionale.

Non c’è assistenza sociale se si trascura la conta dei destinatari dell’intervento, che nessuno sa neppure quanti e dove siano.

Non c’è profumo di Repubblica senza possedere la conoscenza per deliberare (Einaudi dixit)!

Insomma, ai decisori che i partiti danno in prestito alle istituzioni, attraverso la mediazione elettorale, occorrerebbe fare assumere l’abitudine di circondarsi dei saperi necessari nonché di improntare i propri comportamenti istituzionali alla legalità, quasi ovunque trascurata, e alla “aritmetica politica”. Quest’ultima intesa come traduzione elementare delle cose da fare per uscire dalle sabbie mobili  in cui, fatta eccezione per la Basilicata, il Mezzogiorno (esteso anche all’Abruzzo) rischia di sprofondare fino a scomparire. Un obiettivo da conseguire con l’uso politico dei segni, non quelli zodiacali, cui in tanti sono affezionati tanto da consultarli prima di effettuare le loro quotidiane scelte. Quei simboli che contraddistinguono le quattro operazioni elementari della aritmetica, attraverso i quali semplicizzare le scelte e comprendere, bene e in via preventiva, il prodotto dell’intervento.

Il segno più (+), quello dell’addizione, sta per aggiungere qualità alle attuali (pessime) condizioni di vita sociale, tanto da emarginare l’emorragia migratoria.

Quello meno (-), caratteristico della sottrazione, sta per diminuire gli sprechi, le ruberie e l’indebita percezione di retribuzioni in favore degli attori politici e burocratici e non già per abbassare ulteriormente le garanzie sociali e lo spessore dei diritti di cittadinanza.

Quello della moltiplicazione (x) sta per incrementare il più velocemente possibile il livello di legalità e trasparenza, quasi sempre assenti alle latitudini meridionali, invase frequentemente da business riguardanti l’energia alternativa, la sanità privata e il caporalato consegnato alle sedicenti cooperative spesso collaborati da sponsor della politica anche nazionale.

Quello della divisione (:) sta per dividere il numero dei centri decisionali partecipati, inventati nel passato per moltiplicare i centri clientelari, oggi zeppi di debiti complessivamente miliardari. Non solo. Necessiterebbe privilegiare politiche favorevoli al processo aggregativo dei Comuni, motori della spesa pubblica, oramai incapaci di coprire il costo dei servizi e delle prestazioni da rendere alla loro collettività.

Su tutto, occorre ridurre soprattutto i tempi di attuazione dei programmi del “Risorgimento” mediterraneo. La cittadinanza comunitaria pretende capacità di governo e tempestività di esecuzione. Di contro, disdegna il solito politichese che ha ridotto il sud in ciò che è e che si ha il dovere di rilanciare nell’interesse generale.

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