Rafforzare la previdenza integrativa e la capitalizzazione delle imprese con i fondi del TFR maturato

TFR

1. Sommario

Il TFR maturato dai lavoratori dipendenti privati, contabilizzato nel passivo dello stato patrimoniale delle società come debito, si ridurrà, come incidenza, nelle aziende con più di 50 addetti. Di conseguenza, questo tradizionale strumento di welfare aziendale perderà progressivamente interesse per i lavoratori. Tre sono i motivi di questa tendenza. Primo, il legislatore ha deciso di destinare gli accantonamenti ricorrenti (quelli aggiuntivi che maturano  di anno in anno) alla previdenza integrativa; una scelta giusta ma perseguita con scarsa coerenza,  sia a causa della presenza di limitazioni nelle possibilità di scelta individuale, sia a causa di trattamenti fiscali che penalizzano i Fondi pensione (Marè). Secondo, la facoltà di trasferire in busta paga l’accantonamento ricorrente, è stata poco utilizzata dai lavoratori, contribuendo ulteriormente a ridurre la credibilità, più ancora che la dimensione finanziaria del TFR (1). Terzo, la normativa dei dipendenti pubblici continua a differire da quella dei dipendenti privati e ciò mantiene vive discriminazioni che offuscano le valenze previdenziali del sistema TFR-TFS considerato nel suo insieme (2).

Si sta realizzando un impoverimento del serbatoio di risparmio privato costituito dal TFR, senza optare in modo chiaro e deciso per la crescita del secondo o del terzo  pilastro previdenziale.

Questa nota si concentra su un aspetto ancora poco esplorato, quello del TFR accumulato come debito nel fondo iscritto al passivo dello stato patrimoniale di ciascuna azienda, ed avanza una proposta. Essa ha due obiettivi: da un lato individua una soluzione in grado di allargare  la base della previdenza integrativa, dall’altro lato offre una opportunità per la ricapitalizzazione delle aziende. Inoltre, la proposta è basata su una visione liberale delle scelte delle imprese e dei lavoratori, quindi l’adesione allo schema proposto è volontaria. I fondi  TFR iscritti negli stati patrimoniali delle aziende con più di 50 dipendenti sono destinati ad esaurimento nei prossimi quindici anni, per gli interventi normativi e per le dinamiche demografiche sopra ricordati. Ciò accadrà in ragione del venir meno degli accantonamenti ricorrenti e dell’uscita per pensionamento o per cambiamento di lavoro da parte dei  lavoratori: ogni fondo fa e farà fronte alle uscite, ma non viene e non verrà più alimentato da nuove entrate. Oggi i fondi rappresentano ancora quote significative del passivo e, opportunamente valorizzati nelle duplice prospettiva che abbiamo indicato, possono rappresentare una risorsa per il rafforzamento della capitalizzazione delle imprese e per il consolidamento della previdenza integrativa.

Su questa strada il  governo Renzi (3)  aveva manifestato l’intenzione di muoversi con interventi volti ad assicurare il sostegno all’economia reale da parte degli investitori istituzionali, il cui attivo è caratterizzato oggi dalla presenza prevalente di titoli del debito pubblico (Abatecola).

Questa nota analizza la fattibilità della conversione dei fondi TFR in quanto debiti verso i dipendenti, in capitale sociale, ossia in debiti verso soci, limitatamente alle società per azioni. Il motivo di questa limitazione è da ricercare in considerazioni relative alla maggiore trasparenza e alle più elevate garanzie attinenti al valore dell’azienda, caratteristiche di cui le altre società di capitali non dispongono. La trasparenza e la affidabilità del valore dell’equity  sono prerequisiti per rendere credibile e attraente, per i soci e per i lavoratori dipendenti, ogni operazione di aumento di capitale destinata alla sottoscrizione da parte di questi ultimi.  Ciò significa che i dipendenti dovrebbero diventare soci della azienda in cui lavorano? Non necessariamente: la soluzione proposta intende proteggere il risparmio dei lavoratori dai rischi connessi ad una scelta di portafoglio priva dei necessari gradi di libertà. Essa prevede un ruolo di un intermediario finanziario specializzato nella gestione di fondi, come una SGR, che svolga la funzione di amministratore fiduciario o gestore del patrimonio conferito dal lavoratore.

Le azioni verrebbero emesse dalla imprese e sottoscritte dai lavoratori attraverso l’estinzione del loro credito TFR, e da questi sarebbero conferite ad un fondo, che chiamiamo Nuovo Fondo  per distinguerlo dai fondi TFR dello stato patrimoniale di cui abbiamo parlato fino ad ora (4).

La nota esamina le condizioni che possono portare alla collaborazione dei tre agenti coinvolti: imprese, lavoratori, fondo, e mette in rilievo i vantaggi che anche altre parti coinvolte, lo Stato in particolare, possono trarre dalla implementazione dello schema. Tra i vantaggi che le imprese possono ricavare dall’adesione a questo schema, va richiamato il rafforzamento patrimoniale (aumento del capitale sociale e parallela riduzione dell’indebitamento) che, nel caso delle banche ed in particolare della banche popolari, andrebbe incontro alle regole di Basilea (5).

Tali vantaggi, a parere dello scrivente, bilanciano ampiamente lo sforzo che l’implementazione da parte dei tre agenti coinvolti: il lavoratore dipendente, l’azienda, il Nuovo Fondo.

2. La capitalizzazione delle imprese

Il fondo per il TFR maturato rappresenta una quota consistente del passivo di bilancio. Secondo i dati Mediobanca del 2015  i Fondi del Personale rappresentano una quota del 9,9% e del 3,8% rispettivamente del capitale sociale e del patrimonio netto, con una tendenza a ridursi, come dicevamo, tanto che le quote si sono quasi dimezzate nell’ultimo decennio (6).

Molti studi concordano nel ritenere sbilanciata la struttura del passivo delle imprese: la scarsa dotazione di capitale di rischio e la conseguente eccessiva dipendenza dal finanziamento bancario a breve, sotto forma di credito commerciale, sono fattori di freno alla crescita (7). E’ questa una delle concause della dimensione ridotta delle imprese italiane, della loro scarsa capacità di internazionalizzarsi, della presenza di rigidità finanziarie e culturali al passaggio da impresa  familiare ad impresa manageriale, della scarsa propensione all’investimento in ricerca (Micucci-Rossi). Recentemente, in occasione dell’intervento per consentire il trasferimento in busta paga dell’accantonamento ricorrente, si è sviluppato il dibattito sulla capacità della previdenza integrativa di sostenere lo sviluppo del paese (8).

La complessa normativa che regola oggi il TFR confonde gli analisti internazionali, che trovano difficoltà nel valutare le relative poste di bilancio secondo schemi standardizzati. Ciò si verifica sia in sede di accordi con aziende internazionali sia in sede di finanziamento da parte di istituzioni finanziarie internazionali.

Lo schema qui proposto mira ad accrescere la capitalizzazione e a ridurre l’indebitamento delle imprese, punta ad allargare lo spazio finanziario per la previdenza integrativa e ad avviare la partecipazione dei lavoratori al capitale in modo semplice e diretto. Quest’ultima  valenza positiva, non vogliamo nasconderlo, potrebbe essere percepita con segno opposto da coloro che, sui due versanti delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei sindacati, sono ancor oggi restii ad affrontare il tema della democrazia economica (9). Nel nostro Paese, infatti, sono stati privilegiati gli aspetti dell’informazione e della democrazia industriale, piuttosto che quelli della democrazia economica, per usare la distinzione introdotta da Mcpherson tra temi della partecipazione attraverso l’informazione e controllo sulle condizioni di lavoro (democrazia industriale) e temi della partecipazione alla gestione economica dell’azienda (democrazia economica).

3. Lo schema proposto

Lo schema proposto in questa nota prevede transazioni che possono essere rappresentate nel grafico seguente. Una società per azioni o quotata è dotata di un certo fondo TFR, iscritto nel suo stato patrimoniale come debito verso i dipendenti. Tale impresa, a valle delle delibere degli organi sociali e di un accordo con il sindacato per individuare modalità di adesione e di promozione dello schema, delibera di vendere azioni proprie o di emettere nuove azioni destinate ai dipendenti che aderiscono all’offerta e che possono utilizzare per tale sottoscrizione il TFR maturato presso l’azienda. I diversi passaggi reappresentano le  necessarie compensazioni, al termine delle quali il capitale sociale della società aumenta, il credito del lavoratore verso l’azienda si converte in quote del Fondo, gestito da una SGR, che gestisce le nuove azioni, su mandato del lavoratore, mentre l’azienda cancella il debito verso il lavoratore, come nello schema dei flussi che segue.

schema-flussi

Ad evitare ogni equivoco, ribadiamo che si tratta del TFR maturato nell’apposito fondo di stato patrimoniale e non di quello ricorrente che va ad alimentare la previdenza integrativa o la busta paga in caso di opzione. Si tratta dell’ammontare maturato prima del 2008 che non è mai stato toccato e che non può essere smobilitato se non per anticipazioni o per la cessazione del rapporto di lavoro (10). Le emissioni di azioni riservate ai dipendenti a condizioni  vantaggiose sono frequenti: non disponendo di uno studio generale, l’analisi dei bilanci di alcune grandi imprese pubbliche  e private offre una prima serie di riferimenti (11). Convertendo il TFR maturato in azioni, si otterrebbe un ampliamento della capitalizzazione e una parallela riduzione dell’indebitamento dell’azienda. L’impegno a sottoscrivere le nuove azioni con il controvalore del TFR anticipato non presenta difficoltà, come vedremo è già avvenuto per l’IPO di Posteitaliane.  L’emissione può infatti prevedere l’utilizzo del TFR come forma di pagamento, evitando all’azienda esborsi di cassa sia pure temporanei.

4. La cooperazione tra gli attori

L’adesione delle aziende porterebbe loro benefici economici diretti: la riduzione del debito verso il lavoratore e l’aumento del capitale di rischio, sottoscritto dallo stesso. L’avvio di nuove relazioni industriali può essere stimolato dall’adozione dello schema e in sé rappresenta un fattore di modernizzazione, in linea con l’attuazione di scelte politiche che il governo ha recentemente confermato (12). Questi benefici possono dare luogo, in fase di emissione come abbiamo visto alla nota 11, a significativi sconti e bonus share al termine dei periodi di lock up cui aderiscano i sottoscrittori che utilizzano il proprio TFR maturato.

Lo schema realizzerebbe un rafforzamento patrimoniale che comporterebbe un aumento immediato del leverage finanziario e del rating, con ulteriori effetti positivi sul cash flow (riduzione della rivalutazione annuale dei fondi TFR, miglioramento delle condizioni di indebitamento).

Il lavoratore sottoscrittore di azioni con i fondi maturati avrebbe le seguenti opportunità:

a) acquisire a condizioni di favore le quote della propria azienda,  poter liquidare, se ne ha necessità, le azioni, oppure le può affidare  in gestione,  anche per una diversificazione di portafoglio, al Nuovo Fondo;

b) beneficiare, nel caso di  affidamento in gestione e nel lungo termine, di rendimenti più favorevoli di quelli del TFR;

c)  disporre di una integrazione al sistema previdenziale (malattia, pensione, studio, abitazione) che consenta una gestione più flessibile del fondo maturato che il Fondo gli può assicurare.

Poiché in diverse circostanze è emerso un atteggiamento conservativo da parte dei lavoratori rispetto al TFR, che hanno privilegiato il suo mantenimento in azienda, il primo vantaggio elencato sarà decisivo: la convenienza economica immediata derivante dalle condizioni favorevoli di sottoscrizione da parte dei lavoratori delle nuove emissioni di capitale a loro dedicate dall’azienda.

Anche per questo motivo, l’innesco del processo di cooperazione tra i tre soggetti necessita di un quadro normativo che definisca l’operatività del Nuovo Fondo ed assicuri i lavoratori sulla natura non speculativa dell’attività di gestione dei conferimenti e di investimento da parte del Fondo stesso (13). Nel quadro in cui lavoratore, impresa e Nuovo Fondo compaiono da attori principali, devono quindi trovare spazio gli agenti che creano le condizioni di contorno per poter lanciare l’operazione:

a) lo Stato in qualità di beneficiario diretto e indiretto dell’attuazione del sistema e come regolatore del Nuovo Fondo;

b) i rappresentanti di aziende e lavoratori in veste di  promotori del Nuovo Fondo.

Lo Stato avrebbe un beneficio diretto rilevante, corrispondente all’anticipazione del gettito fiscale sulle liquidazioni, a cui si aggiungono le motivazioni di carattere sistemico che vengono esaminate più avanti e che giustificano l’intervento legislativo richiesto per definire le caratteristiche di un fondo con caratteristiche adatte alla gestione dei conferimenti di partecipazioni azionarie da parte dei lavoratori (14).

5. L’IPO di Posteitaliane

Si è conclusa il 23 ottobre 2015,  l’IPO di Posteitaliane che offre qualche spunto di riflessione. La richiesta ha superato di 3 volte l’offerta; il prezzo di 6,75, al valore centrale rispetto agli estremi della forchetta, corrisponde ad una capitalizzazione di 8,8 miliardi, superiore al valore di libro contenuto nel bilancio 2014 (8,4). L’offerta era destinata per il 75% agli investitori istituzionali e per il 25% al pubblico, inclusi i dipendenti.

I dipendenti possono avere qualche vantaggio nel detenere le azioni sottoscritte (lotto minimo 50 azioni pari a 337,5 euro) per almeno 12 mesi: in questo caso, riceveranno una azione gratuita ogni 10 azioni (primo lotto minimo) e una azione ogni 20 (lotti ulteriori). Quindi, potranno avere un bonus teorico compreso tra il 10% dei sottoscrittori al minimo e il 5% che è il beneficio potenziale del pubblico indistinto-non dipendenti. L’esito reale sarà determinato dalla quotazione del momento. Il prospetto di collocamento ha offerto la possibilità di pagare fino a due lotti minimi con l’anticipazione del TFR dei dipendenti, con una anticipazione massima di 675 euro.

Le richieste dei dipendenti sono state oltre 26.000, che rappresentano l’8,5% del totale proveniente dal pubblico indistinto. Poiché i dipendenti a tempo indeterminato sono 144.000, il 18% ha richiesto la sottoscrizione delle azioni. Se, in astratto, tutte le richieste fossero accolte e tutti volessero utilizzare il TFR, si sposterebbero 17,5 milioni di euro dal conto debito all’equity nel bilancio di Posteitaliane: si tratta di una cifra modesta, limitata dai margini minimi di utilizzo dell’anticipazione del TFR stabiliti. Si pensi che nel bilancio 2014 di Posteitaliane gli accantonamenti per il TFR sono oltre  1,3 miliardi e rappresentano un valore pari al 15% del capitale sociale post IPO.

Quindi lo “swap” tra debito ed equity è stato sperimentato con l’IPO di Posteitaliane, sia pure con grande timidezza.  I dati sull’utilizzo del TFR forniranno un indicatore interessante sul grado di “affezione” dei dipendenti alle antiche liquidazioni, ma sappiamo fin d’ora che la dimensione dello “swap” dipende da due fattori: il tasso di adesione e il valore della sottoscrizione media. In Posteitaliane il primo è stato significativo, ma il secondo è stato volutamente ridotto ad un valore poco più che simbolico. E’ assai probabile che con la costituzione del Nuovo Fondo e la liberalizzazione della sottoscrizione delle azioni con il  TFR maturato, si otterrebbe sia una aumento dell’adesione sia un aumento del valore medio della sottoscrizione.

6. Impatto sulla finanza pubblica e sull’economia

Quale potrebbe essere la platea delle risorse finanziarie accantonate nei fondi TFR? Dalla sua dimensione e dalla propensione ad aderire alla nuova opportunità offerta ad imprese e lavoratori, dipende l’impatto della proposta che stiamo esponendo.  Non abbiamo trovato dati recenti relativi all’universo delle aziende quotate.

Abbiamo preso i bilanci di 9 grandi imprese ed abbiamo analizzato il valore del  fondo TFR, lo abbiamo raffrontato al Capitale Sociale e al Patrimonio Netto ed abbiamo calcolato il valore medio per dipendente del TFR di questo panel di grandi aziende. Come si vede dalla tabella che segue, nell’anno considerato (in genere il 2014) il fondo maturato per il TFR è pari ad una quota molto diversa del Capitale Sociale, compresa tra il 3,9% della Popolare di Milano e il 39% dell’Enel. Questo dato misura lo spazio nominale che gli azionisti hanno  a disposizione per  proporre aumenti di capitale riservati ai dipendenti e sottoscrivibili con quote del TFR maturato. Un indice più vicino allo spazio reale degli azionisti è dato dalla quota del TFR sul Patrimonio Netto, poiché quest’ultimo rappresenta in modo più completo il valore dell’azienda: qui gli estremi sono rappresentati da Intesa  con l’1% e dalle Poste con il 20%. Naturalmente questi valori oggi sarebbero diversi. Dal panel abbiamo provato ad estrapolare anche i valori complessivi del TFR per tutte le imprese quotate e anche per le imprese complessive (15).

FONDO TFR E CAPITALE SOCIALE

tfr-capitale

La proposta contenuta in questa nota non contempla alcuna forma di agevolazione da parte dello Stato, nonostante lo Stato sia un beneficiario netto dello schema, poi vedremo perché non deve intervenire con forme di agevolazione specifiche, ma solo con regolazione e controllo. Vediamo, ora, quali vantaggi lo Stato trae dallo schema:

1. L’anticipazione del pagamento dell’imposta sul TFR, pari alla durata attesa del rapporto di lavoro di coloro che decidono di convertire il  fondo TFR in quote del fondo previdenziale,  riduce pro tanto l’indebitamento ed il relativo servizio del debito. In una fase di prevedibile innalzamento a medio termine del tasso di interesse, questo processo di riduzione dell’indebitamento è ha un effetto favorevole sul volume degli interessi;

2. l’utilizzazione del Fondo TFR da parte dei dipendenti come rafforzamento della previdenza integrativa alleggerisce la pressione sul welfare in una fase assai critica della sostenibilità finanziaria e della capacità di dare risposte adeguate del sistema sul piano sociale, con riferimento soprattutto alle nuove leve di lavoratori.

Vi sono anche benefici generali sull’economia:

3. una maggiore capacità di accedere al credito bancario da parte delle aziende, determinata dalla riduzione della voce indebitamento e dall’aumento della voce capitale proprio;

4. una maggiore capacità di autofinanziamento delle aziende, che non dovrebbero più sostenere l’esborso delle liquidazioni:avrebbe un effetto diretto di stimolo sull’economia reale, tra cui gli investimenti in ricerca;

5. Le banche beneficerebbero di una maggiore capacità di concessione di credito, trovandosi anch’esse di fronte ad una riduzione dell’indebitamento verso i dipendenti e ad un aumento del capitale di rischio coerente con gli indirizzi di Basilea;

6. Qualora l’adesione al Fondo previdenziale consentisse una libertà di liquidazione delle quote del fondo, o la possibilità di offrirle in garanzia contro mutui o finanziamenti bancari, si avrebbero minori effetti positivi sulla previdenza integrativa, ma maggiori effetti positivi sulla domanda delle famiglie, in particolare nel settore edilizio.

La dimensione di questa liquidità aggiuntiva potrebbe essere stimata in modo più preciso di quanto da noi proposto, con una indagine sulle attitudini delle famiglie. La liquidità aggiuntiva ottenuta con la liquidazione delle quote o con la garanzia che esse rappresentano per ottenere credito bancario,  gioverebbe agli investimenti e allo sviluppo.

Nel complesso, la conversione in quote di capitale del TFR maturato dai dipendenti privati,  a differenza del trasferimento dell’accantonamento al TFR in busta paga, non deprime la capacità di risparmio delle famiglie. La loro maggiore capacità di spesa o di credito verrebbe prevalentemente indirizzata verso le abitazioni e quindi si tradurrebbe in maggiore domanda e  in maggiore occupazione.

L’intervento potrebbe aprire un maggiore spazio per la partecipazione dei lavoratori nelle imprese, ove una parte del sindacato e delle organizzazioni imprenditoriali superassero il tradizionale sospetto verso queste politiche.

Lo Stato non deve essere chiamato ad incentivare l’intervento sul TFR con risorse finanziarie per due ragioni:

  • la prima è equitativa e sarebbe irrisolvibile se lo Stato intervenisse agevolando il risparmio dei lavoratori delle imprese quotate e non anche quello della altre aziende, che non possono rientrare nello schema proposto;
  • la seconda è  relativa al regime della concorrenza, poiché agevolando le imprese quotate, si verrebbe a creare una distorsione a loro favore.

Lo Stato può svolgere un ruolo decisivo per promuovere la previdenza integrativa, aprendo  la possibilità alle  SGR  di gestire il risparmio azionario dei lavoratori con fondi dal profilo di rischio adeguato.

Ringraziamenti

Per la disponibilità a discutere i temi di questa nota desidero ringraziare  Piepaolo Baretta, Mauro Marè e Salvatore Biondo. A quest’ultimo devo anche suggerimenti che hanno contribuito ad evitare formulazioni errate. Rimane mia la responsabilità dei contenuti e degli errori.

Riferimenti

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Banca d’Italia (2014 b), Convegno su “L’innovazione in Italia”, Banca d’Italia – Roma, 16 gennaio 2014.

Banca d’Italia (2015), Risultati aste dei titoli di stato, in: https://www.bancaditalia.it/compiti/operazioni-mef/risultati-aste/index.html

Agar Brugiavini (2015), Il Tfr in busta paga sarà un flop, La Stampa 18 gennaio 2015, in: http://www.lastampa.it/2015/01/18/economia/aderir-solo-milioni-di-italiani-fclP10jIeLehv7BdxCDeHL/pagina.html

Casadio C. (2010), Contrattazione aziendale integrativa e differenziali salariali territoriali: informazioni dall’indagine sulle imprese della Banca d’Italia, Politica Economica n. 2 2010.

Consulenti del Lavoro (2015), Tfr in busta paga: un flop. Comunicato stampa,  30 aprile 2015, in: http://www.consulentidellavoro.it/files/PDF/2015/FS/COMUNICATOSTAMPA_TFR_30mag2015.pdf

M. Dal Co (2010), Stimolare la domanda senza aumentare il deficit: il prestito su garanzia del credito maturato, Bancaria n. 7.

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P. Ichino (2014), Partecipazione dei lavoratori nell’impresa: le ragioni di un ritardo, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. 1.

Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, Legge di stabilità 2015, n.190,  23 dic. 2014.

Italpress (2015), in: http://www.italpress.com/real-estate/52378/fondi-pensione-al-via-gli-sconti-fiscali

C. B. Macpherson (1990), Ascesa e caduta della giustizia economica, Edizioni Lavoro.

M. Marè (2014), Intervenire sul TFR senza allontanare le generazioni, Crusoe, in: http://www.crusoe.it/politiche-congiuntura/intervenire-sul-tfr-senza-allontanare-le-generazioni/1449/

M. Marè, A. Montroni, F. Porcelli (2015), La partecipazione alla previdenza a capitalizzazione in Italia: le determinanti e gli effetti economici, Siep, Working Paper n. 686, in: http://www.siepweb.it/siep/images/joomd/1424879433Mar_et_al_WP_SIEP_686.pdf

Mediobanca (2016), Dati cumulativi di 2060 società italiane, Milano, in: http://www.mbres.it/sites/default/files/resources/download_it/dc_2016.pdf

G. Micucci, P. Rossi (2014), Financing R&D Investments: Relationship Lending or Financial Markets?,Convegno su “L’innovazione in Italia”, Banca d’Italia, Roma.

Note

1) Come previsto, il trasferimento in busta paga del TFR non ha funzionato (Brugiavini). I consulenti del lavoro stimano una adesione dello 0,5 per mille sulla base di un primo set di dati analizzato il 30 aprile 2015 relativo alle imprese con oltre 500 dipendenti (Consulenti del Lavoro, 2015). La relazione tecnica alla legge di stabilità 2015 aveva ipotizzato a regime una partecipazione del 60% dei lavoratori di aziende sopra i 50 dipendenti. Contribuiscono a questo fallimento del provvedimento le penalizzazioni relative alla tassazione. D’altra parte la Commissione che avrebbe dovuto raccordare la tassazione del TFR con quella dei fondi pensione, non ha prodotto alcunché e la situazione della tassazione del risparmio previdenziale si è ulteriormente complicata. Una analisi puntuale della propensione dei lavoratori a scegliere la previdenza integrativa si trova in Marè, Montroni, Porcelli.

2) Questa nota non affronta il tema del TFR-TFS dei pubblici dipendenti. Va ricordato che le condizioni particolarmente favorevoli del finanziamento del debito pubblico suggeriscono di riprendere il tema dell’anticipazione della liquidazione per i dipendenti pubblici (che nel settore privato esiste già). Quando l’avevamo affrontata nel 2010, le condizioni del mercato monetario non consentivano forse un’operazione diretta che oggi potrebbe essere conveniente per lo Stato (Dal Co 2010). Oggi (2016) sarebbe possibile l’anticipazione del TFS-TFR maturato, riducendo gli oneri finanziari dello Stato, dal momento che gli interessi sui titoli pubblici sono al minimo. Ne riceverebbe uno stimolo la disponibilità finanziaria delle famiglie, destinata in particolare all’edilizia, settore oggi in forti difficoltà (Banca d’Italia 2014). Con l’anticipazione del TFS-TFR al proprio dipendente che ne facesse richiesta, lo Stato pagherebbe, infatti,  un interesse intorno allo 0,6% per l’emissione di titoli del debito pubblico di durata quinquennale (Banca d’Italia 2015). A fronte di  questo onere, risparmierebbe l’1,5% fisso cui si aggiunge il 75% del tasso di inflazione, che nel biennio 2015-2016 è stimato dall’Unione Europea intorno allo 0,6% all’anno (con una previsione -0,2% nel 2015 dovuta alla riduzione del petrolio e +1,5% nel 2016). Quindi la rivalutazione risparmiata potrebbe essere compresa tra 1,5% del 2015 e 2,7% all’anno, con un beneficio netto in conto interessi compreso tra 0,9%  e 2,1% all’anno. Lo Stato, inoltre,  vedrebbe gli investimenti in edilizia e beni durevoli aumentare in misura significativa con un effetto di rilancio della domanda e del relativo gettito fiscale, cui si cumulerebbe l’effetto positivo di una minore spesa  per gli ammortizzatori sociali. Una stima prudenziale della domanda aggiuntiva potrebbe essere dell’ordine dei 2 miliardi all’anno da qui al 2020, con effetti sullo sviluppo positivi (ivi). Questo provvedimento eliminerebbe anche una discriminazione a carico dei dipendenti pubblici e potrebbe svolgere quindi una funzione di contenimento delle spinte rivendicative nel Pubblico Impiego. Se l’intervento di conversione del Fondo TFR in quote delle anticipazioni del TFR, discusso al prossimo punto, venisse attuato, la scelta di liberalizzazione delle anticipazioni sul TFR si renderebbe opportuna anche per le ricordate ragioni di equità. In caso di deterioramento delle condizioni di finanziamento del debito pubblico, sarebbe possibile anticipare il TFS con una operazione di finanziamento creditizio direttamente ai lavoratori, con garanzia dell’ammontare maturato (Dal Co 2010).

3) La legge di stabililità 2015 (190/2014) prevede un credito di imposta per enti di previdenza obbligatori e forme di previdenza complementare, qualora investano in infrastrutture e PMI. Il decreto del MEF Le misure del governo sono contenute in un decreto del Ministro dell’Economia, decreto che,  nelle parole del  Sottosegretario P. Baretta “non solo prevede che gli investimenti in economia reale saranno esenti dagli aumenti fiscali previsti dalla legge di Stabilità, ma indica anche un’ampia gamma di settori ed infrastrutture che consentono agli investitori di essere parte attiva nella ripresa economica del Paese” (Italpress). Una posizione favorevole è espressa anche in M. Abatecola (2015). Di un Fondo speciale per l’incentivazione della partecipazione dei lavoratori nelle imprese, si parlava già all’articolo 4, comma 112, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, rimasta pressochè inattuata per 12 anni.

4) Senza entrare nel dettaglio delle caratteristiche che il Nuovo Fondo Previdenziale potrebbe avere, suggeriamo che esso o meglio ancora essi se posti in concorrenza tra loro, siano gestiti da SGR autorizzate e vigilate dalla Banca d’Italia.

5) Si potrebbe obiettare che la situazione delle banche  italiane, al momento della stesura finale di questa nota (fine 2016) non consiglia l’assunzione si rischi da parte dei lavoratori, sotto forma di sottoscrizioni di aumenti di capitale con le quote maturate del TFR. Ciò vale per un normale investitore. Ma per una SGR potrebbe essere un momento favorevole per investire, puntando a realizzare guadagni di capitale connessi agli attesi recuperi dei corsi azionari.  Se la SGR operasse nella gestione dei fondi alimentati dall’utilizzo del TFR, i benefici di queste opportunità ricadrebbero in buona parte sui sottoscrittori.

6) Mediobanca (2016). Il patrimonio netto rappresenta il valore contabile netto in mano agli azionisti, assai più indicativo del capitale sociale che ne è una componente. Nelle scelte dell’Assemblea dei soci e del Consiglio di Amministrazione peseranno, in modo diverso,  entrambi i valori. Da un lato il patrimonio netto sarà il riferimento delle emissioni di nuove azioni da destinare alla sottoscrizione da parte dei dipendenti con le quote maturate del TFR: il peso del fondo TFR che potrà essere trasformato in capitale sociale commisurato al patrimonio netto fornisce la dimensione del miglioramento del leverage e degli indicatori patrimoniali. Dall’altro lato, il capitale sociale sarà il riferimento per valutare quale diluizione delle quote di controllo avverrà a seguito della trasformazione del fondo TFR in capitale sociale: qui sarà il rapporto tra il Fondo TFR e il capitale sociale a fornire le prime indicazioni per le scelte dei soci.

7) Si vedano gli atti del Convegno su “L’innovazione in Italia”, Banca d’Italia – Roma, 16 gennaio 2014.

8) La capacità dei fondi pensione di sostenere gli investimenti è stata discussa in ragione della composizione del portafoglio investito dai fondi stessi, fortemente sbilanciato verso titoli del debito pubblico e verso titoli internazionali. Lo sviluppo della globalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali porta ad un allentamento della capacità dei fondi di sostenere investimenti nazionali e ancor meno di sostenere investimenti “reali o industriali” nazionali. Il tema degli investimenti industriali o infrastrutturali, tipico della fase di sviluppo dello Stato Sociale novecentesco (Dal Co, 2014),  viene riproposto, anche se il finanziamento degli investimenti è oggi affidato non più al mercato interno ma al mercato internazionale dei capitali. In questo contesto un aumento marginale dell’attrattività del mercato domestico porta alla disponibilità di fondi addizionali di dimensioni tali che gli operatori domestici non potrebbero mai mettere a disposizione. In altre parole, la disponibilità di capitali per gli investimenti produttivi si trova rendendo competitivo il sistema paese per gli investitori internazionali. Si ripropone, anche per questa via, la questione dell’accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese italiane: un loro maggior ricorso al mercato dei capitali rispetto al credito di per sé rappresenterebbe un contributo a rendere le imprese italiane più attraenti per gli investitori internazionali.

9) Fondazione Cercare Ancora, (2012).

10) L’accordo, pur rispettando la volontarietà delle scelte individuali di adesione, definisce gli impegni che i soggetti devono assumere e le garanzie offerte dal Nuovo Fondo, vigilato dai rappresentanti delle parti sociali che sottoscrivono tale accordo. La formulazione rientrerebbe, a mio avviso,  in quella illustrata in Ichino (2014).

11) Le privatizzazioni degli anni ’90 del secolo scorso hanno coinvolto, con offerte agevolate, i dipendenti. Nel caso Enel le bonus sharing che scattavano dopo aver tenuto il titolo per 12 mesi, erano 10/200 (5%) in generale, e diventavano 11/200 nel caso dei dipendenti (+5,5%). Furono oltre 70.000 i dipendenti che aderirono (70%). Nel caso di Eni vi furono diversi sconti: del 4%+bonus share in caso di mantenimento per 12 mesi con la seconda tranche mentre con la quarta tranche ci fu solo la bonus share di 10 azioni ogni 100 tenute per almeno 12 mesi. Il piano Telecom 2013 di emissioni riservate ai dipendenti prevedeva lo sconto del 10% rispetto alla media dei valori azionari del mese precedente l’emissione e una bonus share pari a una azione ogni 3 sottoscritte, cui provvedere con azioni proprie e/o con gli utili. Sulle modalità di incentivo per i dipendenti vi è quindi un ampio ventaglio di strumenti e di  benefici, che dimostrano come sia  perseguibile l’obiettivo di creare un forte incentivo per i potenziali sottoscrittori delle azioni volte a  “riassorbire” il TFR.

12) Non è possibile, in questa sede, soffermarsi sul tema dello sviluppo della partecipazione nelle relazioni industriali, su cui la letteratura è ampia.  Rinvio per l’elaborazione legislativa più recente al sito di Pietro Ichino (http://www.pietroichino.it/?p=33346) che illustra la proposta di attuazione dell’articolo 46 della Costituzione in materia di partecipazione dei lavoratori. Ichino illustra, inoltre, la prassi costante di lasciare disattese le iniziative per la partecipazione ed indica la strada dei “contratti istitutivi” tra le parti sui temi della partecipazione.

13) La gestione di questi conferimenti di azioni da parte dei lavoratori deve essere amministrato da gestori professionali, che siano in grado di valutare le opportunità di portafoglio che si aprono per il conferente. Tali  gestori possono operare su mandato degli attuali fondi pensioni, all’interno di una gestione separata. Questa scelta necessita di un provvedimento legislativo che consenta ai fondi l’apertura di tale gestione e che allinei il trattamento fiscale delle prestazioni derivanti da questa gestione a quella generale della previdenza integrativa. Queste risorse, derivanti dai fondi maturati a titolo TFR,  da destinare a a scopi previdenziali, sarebbero aggiuntive rispetto a quelle attualmente amministrate dai fondi integrativi, in parte derivanti dall’accantonamento ricorrente del TFR.

14) Uno degli aspetti legislativi da affrontare è relativo alla destinazione del gettito del prelievo che il Ministero del Lavoro destina attualmente alla copertura del rischio di insolvenza delle imprese nei confronti dei lavoratori per gli importi maturati del TFR. Tale prelievo non sarebbe più necessario e  potrebbe essere destinato a forme di assicurazione collettiva sulla vita, offerte dal nuovo fondo, o confluire in esso, valutando l’effetto composizione che potrebbe prodursi sul rischio medio di fallimento della aziende residue assicurate dall’INPS. Infatti le società quotate che aderiscono allo schema qui proposto potrebbero essere portatrici di un rischio meno elevato di fallimento della media.

15)  I bilanci di alcune importanti aziende quotate  in diversi settori consentono il calcolo del rapporto tra valore del fondo TFR e valore del capitale sociale (TFR/CS) e del Patrimonio Netto (TFR/PN). Le 9 aziende del panel che abbiamo analizzato hanno un ammontare di fondi TFR superiore agli 11 miliardi, valore che rappresenta in media l’11% del capitale sociale e il 3,6% del patrimonio netto, con una variabilità elevata (un risultato non lontano da quello che emerge dai dati Mediobanca richiamati al paragrafo 2 e alla nota 6). I dipendenti di  queste aziende sono poco meno di 600 mila, con un fondo medio per dipendente pari a 18.763 euro. I dipendenti di tutte le società quotate italiane erano 1,4 milioni (gli ultimi dati di Borsa Italiana che ho reperito sono riferiti al 2010) cui si può applicare la riduzione generale del numero dei dipendenti (-5%) calcolata dall’ISTAT nel periodo 2010-2014. Con questa riduzione nel 2014 i dipendenti scenderebbero a 1,350 milioni. Applicando il TFR medio ottenuto sul nostro panel a questo numero di dipendenti di tutte le società quotate si ottiene un valore di 25 miliardi di euro.  Per stimare il valore del TFR cumulato per tutte le imprese  (l’universo delle quotate e non)  l’ISTAT nel 2014  fornisce un numero di dipendenti di poco superiore a 11,270 milioni. Non disponiamo dei dati relativi ai fondi TFR dell’universo delle imprese,  e quindi dobbiamo estrapolare tale valore  facendo il prodotto del  valore medio del TFR del panel  per il totale dei dipendenti :

18.763 euro x 11,270 milioni di dipendenti = 211,465 miliardi di euro

Per l’universo delle imprese è questo il valore complessivo dei fondi TFR estrapolato dal valore medio del panel. Si tratta di un valore sovrastimato per due motivi: gli stipendi delle imprese quotate sono superiori alla media e l’anzianità dei dipendenti delle aziende quotate è anch’essa superiore alla media.  Solo per effetto della contrattazione aziendale i differenziali tra piccola e grande impresa sono intorno all’8% secondo Casadio (2010). A tale differenziale va aggiunto quello retributivo dovuto a più elevato inquadramento professionale nelle grandi imprese e alla maggiore anzianità. Non disponiamo di queste rilevazioni ma si può ritenere che tali fattori pesino come il differenziale relativo alla contrattazione aziendale, portando ad una stima di un differenziale complessivo non lontano dal 25%, che ridurrebbe il valore  del TFR medio a circa 14.000 euro e quindi ad un valore dello stock complessivo del TFR intorno ai 160 miliardi di euro.

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