Di primo acchito, un uomo solo su un’isola non dovrebbe far pensare a niente di economico. Dov’è la società? E se non c’è società ci può essere scienza sociale? Si dà economia se non c’è scambio? Eppure Robinson Crusoe, pubblicato nel 1719, quattro anni prima della nascita di Adam Smith, è considerato anche un grande romanzo economico.
Le esperienze di Robinson Crusoe, scrive Carl Marx nel Capitale, sono un tema caro agli economisti politici. E lui, Marx, ne segue l’esempio trovando nelle riflessioni di Dafoe/Crusoe la conferma della sua teoria del valore. Il valore d’uso in quanto distinto dal valore di scambio?
Eccolo qui: “In a word, the nature and experience of things dictated to me, upon just reflection, that all the good things of this world are no farther good to us than they are for our use; and that whatever we may heap up indeed to give others, we enjoy just as much as we can use and no more”.
Ma Crusoe razzola spesso al contrario di come predica. Si tiene infatti stretto il denaro che ha recuperato dalla nave del proprio naufragio, e lo stesso farà molti anni più tardi con quello trovato su un’altra nave naufragata nei pressi della sua isola. Soldi che gli torneranno utili quando, dopo quasi tre decenni di isolamento, tornerà alla vita associata e agli scambi.
Certo, sull’isola Crusoe è il paradigma perfetto per chi riesce a vedere economia anche in assenza di vita associata e di scambio. Se l’economia risponde alla famosa definizione di Lionel Robbins – se il concetto chiave non è lo scambio ma la scarsità – allora non c’è niente di meglio delle peripezie di un uomo solo su un’isola. E Crusoe è un’impresa edile e un cantiere navale; ma anche un contadino, un allevatore, un falegname, un cacciatore e, finché gli dura l’inchiostro, uno scrittore!
A noi però il Crusoe dell’isola piace poco. Lo troviamo autarchico, violento razzista e misogino. A noi piace di più il Crusoe del continente, quello che si ribella alla filosofia del padre secondo cui “the middle state, or what might be called the upper station of low life… was the best state in the world, the most suited to human happiness, not exposed to the miseries and hardships, the labour and sufferings of the meckanic part of mankind, and not embarrassed with the pride, luxury, ambition and envy of the upper part of mankind”.
Insomma il padre di Crusoe vuole spingerlo dentro qualche piega protetta della società, dentro qualche corporazione. Ma lui deve intuire che ci starebbe stretto, sente il richiamo dell’esotico, si ribella, si imbarca e va in cerca di fortuna. E mentre all’inizio del romanzo questa ricerca del proprio destino è presentata da lui stesso come un atto di hubris cui per forza doveva seguire la caduta del naufragio e dell’isolamento, alla fine si rivela un grande successo.
E questo è il Crusoe che preferiamo: inquieto, curioso, che rischia, che prende e parte. Il Crusoe, per giunta, più fedele a se stesso. Perché mentre per buona parte del romanzo continua a pentirsi di non aver dato retta al padre, il lettore capisce ben presto che questi pentimenti sono solo lip service. Di nuovo fa il contrario di quel che dice. D’altronde lui può fare tutto fuorché fermarsi.
Il primo lupo di mare che incontra gli raccomanda di stare alla larga dalle navi e lui niente, riparte e lo fanno prigioniero i Mori. Scappa, e dopo grandi peripezie finisce in Brasile, dove diventa un ricco proprietario terriero. Ma nemmeno questo lo soddisfa e si fa facilmente convincere a fare il mercante di schiavi avanti e indietro con l’Africa. Al primo tentativo naufraga. Continua a ripetere che si è sistemato un gran bene, si sente il signore dell’isola, la sua isola. Ma mentre dice così si costruisce non una, ma due barche. E sulla seconda, poco dopo il varo, rischia di perdersi in mare.
E dopo ventotto anni di solitudine, quando torna alla civiltà, si installa forse da qualche parte? Macché, riparte dall’Inghilterra e se ne va in Portogallo, ritorna in Inghilterra attraversando la Francia. Sembra sistemato, si sposa perfino ma dopo sette anni, ormai anziano, riparte un’altra volta per il Brasile e la sua vecchia isola.
Insomma, esistono due Crusoe. L’uno isolano e l’altro dei continenti, l’uno stanziale e l’altro esploratore, l’uno corporativo e l’altro imprenditore, l’uno prudente e l’altro istintivo. Alla fine prevale sempre il secondo.
Non diversamente da Crusoe, forse esistono due Europe – l’Europa sarà la nostra unità di conto, la nostra giurisdizione di riferimento. L’una corporativa e l’altra imprenditrice. L’una della chiusura, in se stessa o peggio negli Stati che la compongono. L’altra dell’apertura, a se stessa e al mondo. Noi vorremmo che prevalesse la seconda Europa, quella che non ha paura di competere, di innovare e di crescere. Quella che ambisce a essere un terreno di scoperta, un’isola da esplorare, ma anche per chi vuole, una terraferma solida e positiva, dove è possibile coltivare la speranza di un miglioramento del benessere, della sicurezza e della pace.
Per offrire alla discussione una chiave di lettura dei temi di politica economica che si dibattono oggi in Europa e nel nostro paese siamo ricorsi a tre binomi che ci appaiono centrali nell’economia europea: a) responsabilità a trasparenza; b) merito e opportunità; c) vincoli ed efficienza.
L’idea è quella di non ripercorrere e separare la riflessione secondo le usuali e ormai abusate aree tematiche, piuttosto di tagliarle trasversalmente e filtrarle con questo trinomio.
Larga parte degli argomenti più importanti di politica economica che sono oggi sul tavolo dei policy makers europei invocano l’applicazione del principio di responsabilità.
Parlare di vincoli per gli economisti può risultare scontato. Eppure pensiamo che vada crescendo la pressione, soprattutto in questi anni, per lusingare gli elettorati e dimenticarsene. Così abbiamo addirittura dato evidenza a una banale scoperta di Crusoe: “the folly of beginning a work before we count the cost” – da noi liberamente tradotto in “nessuna opera va intrapresa prima di averne calcolato il costo”. Infine abbiamo voluto dare enfasi a un antico principio dell’economia liberale – merito e opportunità – così poco diffuso nel nostro paese.
L’informazione economica, in Italia e nel mondo, stenta sempre di più sulla carta stampata, ma mostra grande vitalità sul web. Su quest’onda, navigheremo anche noi di Crusoe. Tenendo sempre bene in vista la terraferma.