L’incertezza nel campionato italiano di calcio: un’analisi comparata

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Il campionato di serie A è appena cominciato e i titoli dei principali quotidiani sportivi già fantasticano sul grande equilibrio che dovrebbe caratterizzare la stagione. Potremmo dire che tale atteggiamento è in continuità con quanto accaduto nel finale del precedente campionato che è stato celebrato come uno dei più incerti tra quelli degli ultimi anni. Era infatti dalla stagione 2001/02, che chiudeva un quadriennio 1998-2002 di attribuzioni del tricolore sul filo di lana, che lo scudetto non veniva deciso all’ultima giornata di campionato. Alla incertezza che ha segnato la lotta per lo scudetto si è aggiunta quella per la attribuzione dell’ultimo posto utile per la Champions League che si è decisa anch’essa all’ultima giornata, così come due posti su tre per la retrocessione in Serie B. Qualcuno ha fatto notare come il merito di questa incertezza vada attribuito intanto al comportamento “leale” perseguito da alcune squadre che, pur in assenza di rilevanti traguardi di classifica, hanno mantenuto alto il livello di concentrazione riuscendo ad ottenere risultati inattesi (il pareggio del Siena a Milano contro l’Inter o la vittoria del Napoli contro il Milan alla penultima giornata, per fare degli esempi). In questo senso sembrerebbe essersi manifestato un mutato atteggiamento “etico” del mondo calcistico italiano rispetto al passato, quando nelle ultime giornate si era spettatori di situazioni grottesche con partite dai risultati clamorosi attribuiti a fattori motivazionali (basta ricordare tra tutti la vittoria della Reggiana a San Siro contro il Milan campione d’Italia nella stagione 1993/94 con conseguente retrocessione del Piacenza). Tale ritrovata “etica” l’abbiamo subito sbandierata in occasione dell’incontro tra Olanda e Romania ai recenti campionati europei invitando gli orange a comportarsi come si comportano le squadre italiane e a non regalare nulla agli avversari!

In realtà le cose sono un po’ diverse da come ci sono state presentate. Intanto la storia del calcio italiano è costellata di casi in cui lo scudetto è stato deciso da risultati imprevisti legati a sconfitte clamorose all’ultima o alla penultima giornata. Nessuno se ne dolga se, in parte a memoria ed in parte scorrendo gli Album Panini, ricordiamo le fatali Verona per il Milan (1972/73 e 1989/90) e Mantova per l’Inter (1966/67), la vittoria del Perugia sulla Juve (1999/00), quella della Lazio sull’Inter (2001/02) fino alla vittoria del Lecce già retrocesso contro la Roma di Eriksson nella stagione 1985/86. Dunque i comportamenti più o meno “etici” ci sono sempre stati, sempre ci saranno e verranno tirati fuori nell’uno o nell’altro senso a seconda delle situazioni di convenienza!

In secondo luogo quella della incertezza, notoriamente sintetizzata nel concetto di competitive balance, è una questione abbastanza delicata che interessa una gran parte della letteratura economica sullo sport sotto diversi punti di vista: rispetto alla sua collocazione temporale (se riferita ad una partita, ad un campionato o ad un periodo pluriennale), rispetto alle sue determinanti, alla sua misurazione e alle possibile policy tese ad una sua variazione (possibilmente in aumento). In questo contesto non ci interessa fare una rassegna sulla letteratura sul competitive balance, piuttosto ci interessa analizzare quali sono le tendenze in atto rispetto al campionato italiano.

Un primo aspetto da considerare è quello relativo alla attitudine del campionato di Serie A nel garantire un soddisfacente turn-over al vertice. In questa ottica possiamo affermare di essere addirittura la nazione più virtuosa se ci confrontiamo con alcuni tra i campionati più importanti a livello continentale. Per permettere una valutazione e quindi un confronto quantitativo abbiamo calcolato l’indice di Hirfindahl-Hirschmann (HHI) per il periodo 1994-2008 (gli ultimi 14 campionati con il sistema dei tre punti) e lo abbiamo confrontato con quello del campionato inglese, tedesco, spagnolo, francese, portoghese, scozzese e olandese. Il risultato è palese e traspare dal successivo grafico.

Se confrontiamo i dati dell’HHI per il periodo 1994-2008 con quelli dei 14 campionati precedenti (1980-1994) ci accorgiamo di un aspetto interessante: in tutti i campionati, ad eccezione di quello spagnolo in cui è rimasto costante, si è avuto un calo di competitive balance nella lotta per la attribuzione dello scudetto. Come possiamo osservare dalla successiva figura, pur mantenendosi inalterato l’ordine tra i diversi campionati, c’è un sostanziale step tra il periodo 1980-1994 e quello 1994-2008, a sfavore del secondo.

Ad eccezione della Spagna, in cui l’HHI è rimasto costante, ogni campionato ha perso parte della incertezza legata alla possibilità di vincere il torneo. Questo dato non sorprende ed è parte integrante del processo di “americanizzazione” del calcio europeo di cui si è dibattuto e si dibatte tutt’ora anche in ambito accademico. In particolare la riforma della Champions League, con l’allargamento graduale del numero delle partecipanti e quindi delle partite disputate, ha determinato una forte sperequazione tra i top team che vi partecipano e le altre squadre che hanno accesso ai soli mercati nazionali. Di questo aspetto anche il campionato italiano è stato interessato, ma a noi preme evidenziare altre caratteristiche dello stesso.
Dato per scontato che per quanto riguarda la vittoria dello scudetto quello italiano rimane il campionato più incerto, cosa possiamo dire a proposito della competizione interna per ogni singolo obiettivo? Quanto è equilibrata non solo la lotta per lo scudetto, ma anche per le posizioni di Champions League e Coppa UEFA oltre che per la permanenza in serie A? Di seguito proveremo a rispondere a queste domande evidenziando alcune peculiarità rispetto alla evoluzione nel tempo del “seasonal competitive balance”, ovvero del livello di competitività misurato per la singola annata calcistica. Anche in questo caso l’analisi condotta è di tipo quantitativo. Abbiamo utilizzato alcuni indici di variabilità al fine di sintetizzare quanto la classifica è “dispersa” e quindi quanto le posizioni sono ben definite. Uno degli indici di variabilità più comunemente usati è il coefficiente di variazione; attraverso questo indice ed in particolare dal confronto con il suo valore calcolato per le diverse stagioni, è possibile fare delle analisi più approfondite sul nostro campionato. Ci siamo concentrati sulle ultime 14 stagioni per rispettare l’omogeneità nel sistema di punteggio (il cambiamento strutturale relativo all’allargamento a 20 squadre a partire dalla stagione 2004/05 non crea problemi nella stima del coefficiente di variazione). Abbiamo calcolato il coefficiente di variazione (da ora in poi CV) in quattro modi diversi. Il primo (CV1) considerando la classifica a fine stagione, il secondo (CV2) calcolandone la media aritmetica per giornata, il terzo (CV3) e il quarto (CV4) calcolandone la media ponderata con pesi riferiti ad ogni singola giornata di campionato. In CV3 i pesi sono lineari mentre in CV4 i pesi sono quadratici. Gli ultimi due casi tendono a sottolineare come l’incertezza di una stagione sia un concetto fondamentalmente dinamico, legato alla evoluzione del campionato giornata per giornata, in cui l’importanza che noi le attribuiamo cresce con l’approssimarsi del termine della stagione. La tabella 1 mostra i valori degli indici calcolati sull’intera classifica.

Tab.1: Coefficienti di Variazione calcolati per la Seria A per il periodo 1994-2008

 
CV1
CV2
CV3
CV4

1994/95
0,404
0,466
0,366
0,351

1995/96
0,149
0,284
0,188
0,156

1996/97
0,233
0,277
0,219
0,199

1997/98
0,283
0,352
0,286
0,277

1998/99
0,185
0,205
0,143
0,132

1999/00
0,317
0,374
0,334
0,324

2000/01
0,301
0,382
0,329
0,316

2001/02
0,314
0,370
0,319
0,308

2002/03
0,301
0,420
0,360
0,340

2003/04
0,360
0,482
0,431
0,413

2004/05
0,267
0,343
0,296
0,285

2005/06
0,364
0,455
0,405
0,390

2006/07
0,328
0,415
0,368
0,359

2007/08
0,297
0,384
0,315
0,322

In realtà la dinamica mostrata dai diversi coefficienti di variazione calcolati è piuttosto simile, per cui la nostra analisi può concentrarsi su uno solo di questi senza per questo perdere di generalità. Scegliamo il CV3 e diamone una rappresentazione grafica.

Dalla analisi del CV3 emerge che nell’ultimo campionato si è senz’altro avuto un guadagno di competitività rispetto alle due stagioni precedenti (maggiore incertezza), evidenziato dalla riduzione del valore del nostro parametro. Questa recuperata incertezza si inserisce, però, all’interno di un generale trend di crescita del competitive unbalance, come confermato dalla retta di regressione lineare riportata nel grafico. L’utilizzo del CV si presta ad una analisi del livello di competitività per ogni singolo sottoinsieme di team che lottano per i diversi obiettivi, scudetto e qualificazione in Champions League, qualificazione alla Coppa UEFA e salvezza. Abbiamo così calcolato il nostro indice di variabilità considerando dapprima le prime 5 squadre in classifica, poi le prime otto e poi le ultime cinque. I risultati sono sintetizzati nel successivo grafico
 
I dati sembrano mostrarci una tendenza alla riduzione della incertezza per le posizioni di vertice ed un suo incremento per le posizioni di coda. Il dato non sorprende. Se analizziamo la media dei punti per giornata guadagnati rispettivamente dalle prime 5, dalle prime 8 e dalle ultime 5 possiamo renderci conto di una tendenza alla crescita delle tre grandezze, ma con uno scarto decisamente maggiore per la prima rispetto alla seconda e della seconda rispetto alla terza, sostanzialmente stabile.

È in atto un processo previsto e prevedibile legato alla accentuazione del carattere business oriented del calcio. Si sta realizzando nella sostanza il progetto della Superlega proposta nel 1998 che prevedeva la istituzione di un torneo continentale a 18 squadre, chiuso (senza retrocessioni e promozioni) ed esclusivo (abbandono delle leghe nazionali) il cui scopo era quello di replicare il modello sportivo americano con volumi di affari inalterati ma da dividersi tra un numero di team inferiore. Formalmente la Superlega è stata superata dalla nuova formula della Champions League avviata nel 1999, ma in realtà tra chi partecipa alla Champions e chi non vi partecipa si è instaurata una differenza economica che la cura dei vivai, l’abilità tecnica e manageriale o il caso non riescono certamente a colmare, una sorta di barriera all’entrata che rende l’accesso alle edizioni successive “non contendibile”, termine volutamente mutuato dalla teoria economica dei mercati e delle imprese. Per utilizzare le parole di Stephen Moss in un editoriale del the Guardian, questi team «are playing different games». La nuova formula della Champions League ha voluto salvaguardare da un lato gli interessi economici dei team più grandi e dall’altro la speranza dei team più piccoli di poter competere con i primi. Sul primo obiettivo ci siamo (con i dovuti distinguo legati alle abilità di ogni singolo club), sul secondo la speranza è più teorica che realistica. Potrebbe confermarsi sul singolo match, ma questa perde vigore già all’interno di una sola stagione calcistica.

In conclusione possiamo affermare che, seppure è vero che l’ultimo campionato è stato certamente combattuto fino all’ultimo, è però in atto una tendenza verso una maggiore sperequazione delle posizioni in classifica tra le squadre. Tale divario si concretizza intanto in una maggiore difficoltà nel generare un ricambio tra squadre che lottano per le posizioni di vertice rispetto al passato e quindi in una minore probabilità di individuare un outsider come sono state nel passato il Verona, la Sampdoria, il Bologna, il Cagliari o la Fiorentina, ovvero squadre vincenti di aree non metropolitane. Individuare le cause che hanno portato a questa minore incertezza non è semplice. Troppi sono stati i cambiamenti a partire dalla metà degli anni ’90. Dalla formula dei tre punti, alla sentenza “Bosman” che ha rivoluzionato il mercato trasferimenti, alla riforma della Champions League e delle coppe europee, alla approvazione della legge 586 del 1996 che ha modificato, almeno formalmente, il comportamento delle società sportive professionistiche da un punto di vista economico, fino all’avvento della pay-tv e della pay-per-view con tutte le questioni relative alla ripartizione dei diritti televisivi. Non è dunque semplice identificare tra i diversi cambiamenti quello che più di altri potrebbe aver influenzato questo processo.

Seppure ci sia una sostanziale presa di coscienza di queste problematiche sia dal punto di vista teorico che pratico crediamo che il trend avviato difficilmente modificherà la sua traiettoria, al massimo potrebbe arrestarsi, ma non ne siamo certi.
Rimane aperta una ultima questione: quanto è importante l’incertezza? Ovviamente dipende dal punto di vista con il quale tale aspetto viene affrontato. Alcune analisi empiriche sembrano dirci che in realtà, dal punto di vista delle presenze negli stadi, il competitive balance è irrilevante. Più cauti dovremmo essere se l’analisi coinvolgesse gli aspetti mediatici. In questo caso siamo sicuri che venendo meno gli aspetti prettamente passionali e di fidelization la platea è molto interessata all’evento nella sua globalità di cui l’incertezza ne è elemento cardine e va dunque tutelata.
 

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