La disciplina fiscale del welfare aziendale fra limiti attuali e prospettive di riforma
Di Angelo Marinelli
Nella definizione del welfare aziendale avente rilievo fiscale rientrano sia le prestazioni erogate a beneficio dei dipendenti per le finalità sociali richiamate dall’art. 38 della Costituzione (previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa) sia tutti i benefici e servizi forniti direttamente dall’azienda ai propri dipendenti, al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa a cominciare dalle opere o servizi erogati per finalità ricreative (circoli sportivi, ecc.), di educazione, istruzione e culto, per la tutela della salute realizzata anche tramite convenzioni e voucher erogati per prestazioni assistenziali; proseguendo con il diritto allo studio tramite polizze assicurative o rimborsi di spese scolastiche e per i libri di testo, la formazione professionale e i servizi all’infanzia (asili nido “aziendali” o servizi di babysitting on demand); per finire con l’offerta di servizi di natura commerciale, come quelli relativi alla fruizione del buono pasto (ticket restaurant sostitutivo del servizio mensa) o per il tempo libero.
I benefici fiscali accordati all’insieme di queste prestazioni sono giustificati dalle caratteristiche di “meritorietà” dell’intervento. Il welfare aziendale è, in ultima analisi, un bene “meritorio”, perché le prestazioni offerte integrano sul piano quantitativo o qualitativo, spesso in funzione complementare (come nel caso della previdenza complementare), l’offerta del sistema di protezione sociale pubblico, oppure lo vanno ad integrare sul piano quantitativo o qualitativo (sanità integrativa). In ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale e per le implicazioni di carattere economico lo Stato e gli altri enti pubblici promuovono, sostengono ed incentivano, anche attraverso regimi fiscali di favore, le prestazioni e i servizi erogati tramite quelle entità sociali minori (famiglia, impresa, associazioni) che attraverso la loro azione organizzata possono soddisfare meglio i bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici o intervenire in funzione integrativa e/o complementare all’offerta di beni pubblici.
Dal punto di vista dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti, l’ordinamento tributario agevola fiscalmente le somme, le opere e i servizi per la soddisfazione dei bisogni ritenuti dal legislatore particolarmente rilevanti sul piano sociale, prevedendone l’esclusione dal reddito, tramite il regime delle deduzioni dal reddito, delle detrazioni d’imposta o dell’esenzione fiscale.
In particolare l’art. 51 del Tur prevede l’esclusione dal concorso al reddito delle seguenti somme, opere e servizi:
i compensi e retribuzioni in natura fino a 258,23 euro annui (al superamento di questo tetto la prestazione viene tassata per intero e non solo per la parte che eccede i 258,23 euro);
i contributi destinati alla previdenza complementare fino a 5.164,57 euro all’anno (in tale tetto vengono considerati sia i contributi a carico del datore di lavoro, sia i contributi a carico del lavoratore, versati a beneficio di quest’ultimo;
i contributi associativi versati a società di mutuo soccorso al fine di assicurare ai soci o alle loro famiglie un sussidio nei casi di malattia, invalidità al lavoro, ovvero in caso di decesso (art. 51, c.1 del Tuir;
i contributi destinati alla sanità integrativa, fino a 3.615,20 euro all’anno (art. 51, comma 2, lett. A del Tuir);
le prestazioni in natura, opere e servizi per scopi di istruzione, educazione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, erogati dal datore di lavoro “volontariamente” alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti (art. 51, c.2, lett. f del Tuir)
le somme in denaro e prestazioni in natura, opere e servizi erogati dal datore di lavoro per asili nido, colonie climatiche a favore dei figli, borse studio per familiari dei dipendenti (art. 51, c.2, lett. f – bis del Tuir);
i servizi di mensa aziendale con somministrazione di vitto da parte del datore di lavoro;
le l’erogazione di buoni pasto sostitutivi dei servizi di mensa (fino a 5,29 euro giornalieri);
le prestazioni aziendali di trasporto collettivo esclusivamente per il tragitto casa – lavoro, ad esclusione dei ticket di trasporto finalizzati ad agevolare l’acquisto da parte dei dipendenti di biglietti di viaggio o di trasporto (art. 51, comma 2, lettera d del Tuir).
Alcune di queste prestazioni costituiscono l’oggetto del cosiddetto “welfare contrattuale”, che si realizza tramite l’insieme dei beni, delle somme e dei servizi organizzati, promossi ed erogati per il tramite della contrattazione collettiva nazionale di lavoro o dei contratti collettivi di lavoro di secondo livello, aziendali o territoriali.
Va detto, infatti, che la mancata assimilazione del welfare contrattuale al welfare aziendale risente, attualmente, in gran parte proprio della formulazione della lettera f – bis, dell’art 51, comma 2 in combinato con la formulazione dell’art. 100, comma 1 del Tuir che prevedono che la generalità delle prestazioni di utilità sociale sia fondata sulla “unilateralità” dell’erogazione da parte del datore di lavoro. In sostanza, ai fini dell’esenzione fiscale dei beni e servizi di “utilità sociale”, richiamati dalla lettera f, comma 2, dell’art. 51 del Tuir, questi devono essere erogati dal datore di lavoro ai dipendenti a titolo di “liberalità”, in assenza cioè di ogni vincolo contrattuale.
In questo caso l’iniziativa degli agenti contrattuali che danno vita al “welfare contrattuale” può essere considerata come un “bene pubblico meritorio abilitante”. Infatti, il risultato della contrattazione o l’azione delle parti sociali può generare economie esterne importanti, derivanti dalla costituzione di un agente collettivo in grado di mutualizzare gli oneri connessi all’organizzazione del servizio o alle prestazioni erogate, contribuendo cosi a migliorare anche l’equità delle scelte di policy pubbliche, come nel caso della previdenza complementare che concorre con la previdenza pubblica obbligatoria al raggiungimento nell’età anziana di più elevati di prestazione pensionistica e di copertura previdenziale complessiva. L’insieme delle erogazioni effettuate dall’impresa per questi diversi scopi, può rientrare sia nell’ottica delle politiche aziendali volte alla “fidelizzazione” dei dipendenti, migliorandone la collaborazione e l’impegno sia nel filone della “responsabilità sociale dell’impresa”.
Se il welfare contrattuale rappresenta oggi una risposta strategica fondamentale per realizzare tutele ed erogare somme e servizi che concorrano, insieme a quelle pubbliche, alla realizzazione di migliori e più elevati livelli di copertura previdenziale e assistenziale, in linea con le previsioni dell’art. 38 della nostra Costituzione va detto che, oltre a soddisfare i bisogni sociali dei lavoratori beneficiari delle prestazioni, esso si pone sempre di più, in alcuni casi, anche come un asset strategico per migliorare la produttività e le condizioni ambientali del lavoro e per fidelizzare l’appartenenza dei lavoratori alla comunità aziendale.
Per queste motivazioni appare illogico sia aver escluso la possibilità di applicare lo speciale regime di detassazione accordato ai premi di produttività a fronte della corresponsione di prestazioni in natura, sia l’aver legato l’esenzione fiscale delle prestazioni e i servizi di natura sociale con finalità educative, di istruzione, di culto, di ricreazione, di assistenza sociale e sanitaria erogati dal datore di lavoro al carattere di “volontarietà” e liberalità.
Nel primo caso emerge tutta la contraddittorietà del legislatore fiscale rispetto alle tendenze di sviluppo del “secondo welfare” – che mira sempre di più a realizzare un ideale collegamento fra la produttività, la responsabilità sociale dell’impresa e il welfare aziendale.
Il D.P.C.M. 19/02/2014, nel confermare per l’anno 2014 la speciale agevolazione di cui all’art. 1, comma 481, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (imposta sostitutiva pari al 10% dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle altre addizionali regionali e comunali) sui premi erogati tramite la contrattazione collettiva di secondo livello, aziendale o territoriale a fronte di indicatori quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione per i titolari di reddito da lavoro dipendente del settore privato non superiore, nell’anno 2013, ad euro 40.000 e sui premi di importo fino a 3.000 euro, ha ribadito che la detassazione opera esclusivamente sulle somme corrisposte in danaro e non anche in natura.
Mentre scriviamo, peraltro, lo speciale regime sperimentale di detassazione, ormai vigente sia pure con modalità divise dal 2007, non è stato ancora reiterato per l’anno 2015.
Nel secondo caso il requisito della “volontarietà” nell’erogazione delle opere e dei servizi di carattere sociale da parte del datore di lavoro, previsto ai fini dell’esclusione dal reddito e richiamato dal collegamento dell’art. 51, comma 2°, lettera f, con l’art. 100, comma 1, , stabilendo il vincolo dell’assenza di ogni previsione contrattuale ai fini della concessione del beneficio fiscale, limita il ruolo e le potenzialità propulsive della contrattazione collettiva aziendale o territoriale, proprio laddove si concentra la maggiore riconoscibilità delle situazioni di bisogno dei lavoratori e delle lavoratrici e dove si ravvisa la maggiore utilità di una gestione flessibile e contrattata dei criteri e delle modalità di accesso ed erogazione di taluni istituti del welfare aziendale.
Peraltro, sempre l’art. 100, comma 1 del Tuir prevede per le medesime opere e servizi una soglia di deducibilità per l’impresa pari al cinque per mille del costo del lavoro dipendente. Questa previsione limita le potenzialità di sviluppo ed erogazione dei beni e servizi di utilità sociale specie nelle piccole e piccolissime imprese, dove i livelli delle prestazioni del welfare aziendale rimangono complessivamente al di sotto degli standard qualitativi e quantitativi delle imprese più grandi.
Va poi evidenziato che la formulazione delle lettere f ed f –bis dell’art. 51, comma 2 si presta a molti margini di ambiguità interpretative e sembra non tenere conto dell’evoluzione delle forme organizzative di erogazione del welfare, oggi attuate medianti piani aziendali per il welfare (PWA) e tramite l’utilizzo dei buoni servizi per il welfare, cioè di documenti in formato cartaceo o elettronico, spesso promossi o concessi , erogate anche in base ad disposizioni contrattuali o di altro accordo anche territoriale o aziendale.
Questi argomenti, che suggeriscono una revisione profonda della disciplina fiscale dei fringe benefit e del welfare aziendale, si scontrano con i noti vincoli di finanza pubblica e con la tendenza ad una graduale riduzione dei livelli di agevolazione e favore fiscale presenti nel nostro ordinamento.
Fra le proposte in campo appaiono interessanti quelle finalizzate ad introdurre plafond di deducibilità e detraibilità fiscali per ciascuna macro – categoria di servizi e prestazioni che si intende tutelare, raggruppando i fringe benefit, le opere e i servizi di welfare aziendale in relazione alle medesime finalità sociali, in modo da assegnare ai lavoratori e alle lavoratori margini di flessibilità all’interno di ciascuna categoria per l’utilizzo delle detrazioni o delle deduzioni accordate.
A fronte dell’esenzione fiscale o dei tetti di deducibilità attualmente previsti per i singoli istituti o per le singole categorie di opere o servizi, il beneficiario può risultare, infatti, idealmente “più che capiente” o “incapiente”, in relazione delle proprie preferenze o dei propri bisogni sociali.
La creazione di “aree di detraibilità o deducibilità fiscale” che includono più categorie di “beni e servizi tutelati”, raggruppati in base alla differente finalità sociale, potrebbe rimettere nella disponibilità dei lavoratori e delle lavoratrici le scelte relative al consumo delle opere e dei servizi per il welfare ed il tempo libero. All’interno di ciascuna area tutelata il soggetto potrebbe muoversi, così, a proprio piacimento, consumando una maggiore quota dell’esenzione o della detrazione fiscale complessivamente consentita per la soddisfazione di uno specifico bisogno, piuttosto che di un altro.
Una soluzione salomonica potrebbe consistere nel distinguere il trattamento fiscale delle somme e delle prestazioni del welfare aziendale di carattere integrativo o complementare del sistema di protezione sociale pubblico, per la realizzazione delle finalità richiamate dall’art. 38 della nostra Carta costituzionale, rispetto alla disciplina fiscale dei fringe benefit, dei buoni pasto e delle altre somme e servizi di “utilità sociale”, superando l’attuale frammentazione fiscale oggi esistente e valorizzando il ruolo della sussidiarietà e l’ideale collegamento – da realizzare per il tramite la contrattazione di secondo livello (aziendale e/o territoriale) – del welfare aziendale al conseguimento di obiettivi di produttività, qualità ed innovazione d’impresa.
In ultimo va sottolineato come la fissazione di soglie di deducibilità ed esenzione fiscale che non tengano conto delle diverse capacità economiche dei soggetti beneficiari determini un’attenuazione della progressività di sistema, tramite lo spostamento di quote della retribuzione assoggettate ad IRPEF progressiva verso l’esenzione fiscale, con effetti regressivi di risparmio fiscale pari all’aliquota marginale Irpef da applicare al contribuente. Il che suggerirebbe di ragionare – almeno per determinate categorie di opere e servizi – su detrazioni d’imposta di tipo regressivo al crescere del reddito o di altri indici desuntivi della capacità economica del contribuente, in luogo dell’attuale regime di deduzioni o esenzioni fiscale, al fine di rafforzare i profili di equità e progressività fiscale, specie in una prospettiva di auspicabile allargamento dell’area delle prestazioni e dei servizi da agevolare.
Benefit o finalità tutelata
Prestazione agevolata
Imposte e contributi a carico del lavoratore
Imposte e contributi a carico del datore di lavoro
Limiti e condizioni
Previdenza complementare
Contributi in denaro versati a beneficio del dipendente
No imposte fino a 5164,57
euro all’anno (comprensivi contributi versati dal dipendente).
Si contributi previdenziali
No imposte
Contributo solidarietà del 10% sulle somme destinate all’Inps
I lavoratori con prima occupazione
successiva al 1/01/2007, limitatamente ai primi 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, possono dedurre dal reddito complessivo nei 20 anni successivi al quinto anno di partecipazione a tali forme, contributi eccedenti
il limite di 5.164,57 euro, fino a un ammontare pari alla differenza positiva tra 25.822,85 euro e i contributi effettivamente versati nei primi cinque anni di partecipazione
alle forme pensionistiche, e comunque per un importo non superiore a 2.582,29
euro l’anno.
Sanità integrativa
Contributi in denaro versati a beneficio del dipendente
No fino a 3615,20
euro all’anno (comprensivi contributi versati dal dipendente).
Contributo solidarietà del 10% sulle somme destinate all’Inps
Fringe benefit in natura
Prestazioni in natura o liberalità
No fino a 258,23 euro annue
=
Asili nido, colonie climatiche, borse di studio
Prestazioni in denaro o in natura
No
No
In caso di rimborso di spese sostenute dal lavoratore per dette finalità va esibita apposita documentazione comprovante l’utilizzo della prestazione
Opere e servizi di utilità sociale:
– educazione
· istruzione
· ricreazione
– culto
– assistenza sociale
– assistenza sanitaria
Prestazioni in natura
No
No
Le opere e servizi devono essere concessi a tutti i lavoratori
ovvero a specifiche categorie in modo volontario (no previsione contrattuale)
Buono pasto
Somministrazioni di vitto effettuata tramite mensa gestita dall’azienda o tramite terzi oppure attraverso
Buoni pasto fino al valore di 5,29 euro
Prestazioni in natura o tramite buono pasto sostitutivo del servizio mensa
No sui servizi di
mensa Sui
Ticket esenzione fino a 5,29
euro al giorno
No sui servizi di
mensa Sui
Ticket esenzione fino a 5,29
euro al giorno