Dopo il no dell’Irlanda – 2: Gente di Dublino

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Dall’autore di Gente di Dublino, potremmo prendere a prestito il suo pseudonimo per affermare che l’Unione Europea è entrata in un vero e proprio dedalo – che capacità d’anticipazione, un secolo prima! Perché gli irlandesi hanno bocciato il Trattato di Lisbona? In gran parte perché nell’elettorato dei paesi ricchi – è ora di prenderne atto – serpeggia un certo gusto vandalico: sfasciare per sfasciare. Finite le grandi divisioni ideologiche, tutte le maggioranze somigliano a tutte le opposizioni, le scelte sembrano imposizioni, le imposizioni (constraints, tipo il prezzo della benzina) sembrano scelte, tutto è terribilmente complicato.

Il Trattato di Lisbona è complicato. Il deficit democratico dell’UE esiste davvero et pour cause: l’Europa è realmente fatta da tecnocrati, Monnet l’aveva concepita apposta così (e aveva fatto bene). Scrive Paul Krugman (The Great Unraveling, 2003): “Gli elettori hanno una viscerale diffidenza per i candidati dall’aria intellettuale, tanto più se provano a far cimentare l’elettorato con un po’ di aritmetica”. È la descrizione di commissari ed eurocrati, che, infatti, non sono eletti ma nominati. Metteteli al voto indirettamente, con un bel referendum sull’ultima versione del Trattato istitutivo e il risultato è un fiasco.

Il no irlandese all’Europa (non schiacciate i paesi piccoli!) è diverso da quello francese (l’idraulico polacco) e da quello olandese (troppi immigrati) – ma come quello francese e olandese ha, oltre al tema principale, decine di altri temi secondari lungo tutto lo spettro politico destra-sinistra, magari in aperta contraddizione tra loro e con scarsa o nessuna relazione al Trattato. Insomma è un no per dare fastidio. E di fastidio, ne possiamo star certi, ne darà davvero tanto. Hanno un bel dire, adesso, Barroso, Sarkò e la Merkel che bisogna andare avanti con le ratifiche. Ma come, se dice no la Francia (e l’Olanda) si blocca tutto, e se dice no l’Irlanda si continua come se nulla fosse? Allora hanno ragione gli irlandesi ad avere il complesso d’inferiorità e hanno fatto bene, benissimo, a votare no! E poi si va avanti, per dove? Anche se tutti gli altri lo fanno, il Trattato non entra in vigore senza la ratifica di uno Stato membro.

Che fare, allora? Ripensiamo tutto daccapo, ovviamente. Che altro si può fare in questi casi? Qui bisogna d’urgenza fare i conti col fatto che l’Europa dei funzionalisti è arrivata al capolinea. Cos’è l’Europa dei funzionalisti? È l’idea che all’Unione (politica) dell’Europa si arriva partendo dall’unione economica, per approssimazioni successive in cui il processo di unificazione si estende in modo quasi indolore, quasi invisibile, dalla sfera economica a quella politica. Ha funzionato per un po’ di tempo, con alterne fortune, ma ormai non funziona più. Chi scrive l’ha sostenuta con forza in passato ma dobbiamo essere ora realisti. I paesi che non vogliono l’unione politica intuiscono subito dove gli altri vogliono andare. Concedono piccole cose, parvenze di politiche (gli aiuti umanitari, gli aiuti allo sviluppo, i soldi a pioggia alla ricerca, una mini agenzia che discute di acquisto d’armi) ma stanno fuori dalle cose serie, le vere perdite di sovranità – come l’Unione monetaria. E poi discutono, trattano, firmano riforme che alla prima occasione ammazzano, lasciando il povero Trattato istitutivo alla mercé dei referendum.

È tutto troppo facile per ogni governo nazionale. Chiunque riesca a infilarsi nell’Unione: a) prende per molti anni più soldi di quanti ne mette nel bilancio comune, e l’Irlanda ne sa qualcosa; b) non è tenuto a rinunciare a nessun pezzo sostanzioso di sovranità, salvo in teoria alla moneta: ma la Svezia ha insegnato che si può restare fuori dall’Unione Monetaria anche senza l’opt-out, basta mancare apposta qualche criterio di convergenza; c) può mettere il veto su cose davvero fondamentali come appunto cambiamenti nel Trattato istitutivo e nuove adesioni. Smettiamola di insistere a tenere assieme ciò che non si tiene. Di muoverci sempre e per forza alla velocità, alla lentezza, dei vagoni più lenti. Spezziamo in due l’Europa. Altro che geometria variabile e cerchi concentrici.

Il Trattato di Lisbona aveva/avrebbe fatto sparire la Comunità – d’ora in poi doveva esserci solo l’Unione. Sbagliato: torniamo alla Comunità ECONOMICA Europea. Torniamo al minimo comune denominatore. Che cosa fa la rediviva CEE? Regola il mercato. Legifera su e si occupa, appunto, di mercato interno, concorrenza, commercio internazionale, unione doganale. Punto e basta. Funziona come l’aveva concepita Monnet: la Commissione, gli Stati Membri in Consiglio. Il Parlamento lasciamolo, c’è la codecisione sul mercato interno e dunque legifera. Ma non c’è bisogno di eleggerlo direttamente: si può tornare al sistema delle delegazioni parlamentari nazionali. Non c’è bisogno che abbia 736 membri, né che abbia due sedi, una a Bruxelles, l’altra a Strasburgo.

La rediviva CEE può certo risparmiare altri soldi facendo a meno del Comitato delle Regioni, di quello economico e sociale. E licenziando gli eurocrati estranei al core business, tipo gli esperti in sviluppo, aiuti umanitari, cultura, eccetera. Quanto costerebbe? Di certo meno degli attuali costi amministrativi, che sono pari allo 0,05 del Prodotto Interno Lordo europeo. A proposito, a questa CEE probabilmente aderirebbero anche la Svizzera e la Norvegia.

Poi c’è l’Unione monetaria, esattamente com’è oggi: in fondo ci sta chi vuole davvero starci. E infine oltre, sopra, al di là, ci sarebbe l’UNIONE EUROPEA tout court. E qui chi vuole l’integrazione può metterci – finalmente! – ciò che vuole: oltre la moneta, la giustizia, la difesa, la politica estera, persino la capacità di redistribuire seriamente il reddito con un bilancio comunitario vero e proprio. E può finanziarsi tutto come vuole, con qualunque imposta ritenga opportuna. Perché è legittimato a farlo, con un vero Parlamento eletto direttamente dai cittadini e dotato di iniziativa legislativa. Perché – finalmente! – non ci sono più britannici, irlandesi, danesi, svedesi, cechi e altri ancora a sparare sui Trattati o a tirare il freno. Infine, questa soluzione avrebbe anche il “piccolo” ulteriore vantaggio di far emergere le vere disponibilità federali dei paesi fondatori dell’Unione, che diamo sempre per scontate ma che spesso, come sappiamo bene, vengono meno alla prova dei fatti.

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