1. Industrializzazione accelerata e innovazione
Nei dieci anni dal 2001 al 2010 la quota dell’occupazione agricola in Cina si è ridotta del 50 al 36%, mentre l’industria e il terziario sono aumentati di sette punti ciascuno (Ufficio Nazionale di Statistica, Repubblica Popolare Cinese ovvero: UNS-RPC).
Figura 1: Occupazione in Cina per grandi settori: 2001 2010
Questa modifica della composizione dell’occupazione comporta, di per sé un aumento della produttività e del reddito pro-capite e rende complessa la distinzione tra aumenti nominali e aumenti reali del reddito.
L’esodo dall’agricoltura favorisce, nello stesso intervallo di tempo, la crescita del prodotto per addetto del 14% per il grano, del 31% per la canna da zucchero, del 100% per il tè, del
200% per la frutta, del 20% per la carne di maiale e del 35% per i prodotti da acquacoltura.
Nel decennio la produttività del settore industriale è esplosa, per effetto del miglioramento tecnologico, delle economie di scala, della crescita dell’area economica a gestione privata: + 109% il carbone, +19% il petrolio, +170 il cemento,+300% l’acciaio grezzo, +240% i filati, +163% l’abbigliamento (UNS-RPC).
Questi aumenti della produttività pro-capite sono tuttavia destinati a rallentare, sia perchè rallenta l’esodo dall’agricoltura, sia perchè l’adozione di tecniche produttive moderne e l’accesso a economie di scala crescenti, è sempre probabile da parte di nuove aziende, man mano che il settore manifatturiero assume una configurazione moderna.
Alla crescita del reddito dovuta allo spostamento verso i settori con maggiore produttività, si accompagna quindi la crescita della produttività interna ai settori e interna alle aziende e a questo aumento della produttività corrisponde un aumento molto forte dei salari.
La politica del governo cinese è esplicitamente rivolta a promuovere la competitività non di prezzo, ossia quella legata al design, alla qualità, all’innovazione. L’Italia è partner ideale di questo processo: non troppo difficile come gli Stati Uniti, non tradizionalmente nemica come il Giappone, simile alla Germania, ma con un numero di grandi imprese più piccolo e un gran bisogno di internazionalizzare il suo tessuto di piccole e medie imprese.
2. Rapida crescita dei salari
La Wharton School dell’Università di Pennsilvania, insieme al Boston Consulting Group (BCG) sostengono l’idea che possa prendere corpo una “manufacturing renaissance” negli Stati Uniti, come vorrebbe il Presidente Obama. Il wage gap tra Stati Uniti e Cina si sta riducendo rapidamente, moltoì’0987654h più rapidamente di quanto fosse previsto: la previsione per i prossimi 5 anni è di +17% in Cina contro + 3% negli USA, cui si aggiunge la rivalutazione del Renminbi. “Ci aspettiamo che il costo del lavoro netto per l’industria manifatturiera cinese e per quella americana convergano già intorno all’anno 2015” Hal Sirkin BCG senior partner (China’s Sinking Competitiveness in: http://knowledgetoday.wharton.upenn.edu/2011/06/china%E2%80%99s-sinking-competitiveness – June 2011).
In Cina il dato aggregato della crescita dei salari si confronta con un dato dell’inflazione che consente un incremento prodigioso del salario reale. Gli indici aggregati possono indurre a conclusioni azzardate. Esiste infatti in Cina un dualismo non limitato al mercato del lavoro, che si estende all’accesso ai beni e ai servizi.
3. L’invecchiamento e il welfare
Il reddito delle zone rurali in larga misura non è monetizzato, ossia non è oggetto di scambio attraverso l’uso della moneta, poiché avviene all’interno della famiglia allargata o con accesso a servizi statali, magari di livello assolutamente essenziale, ma gratuiti. Nel passaggio dal settore primario agli altri settori i giovani percepiscono aumenti di reddito monetario molto vistosi, ma anche ingannevoli, poichè solo in parte rappresentano un aumento di ricchezza, mentre altra parte è semplice trasformazione del reddito non monetario (compreso autoconsumo e consumi collettivi) in reddito monetario.
Ad esempio la casa e il welfare, hanno diritti di accesso diversificati a seconda che si abbia la residenza nell’area urbana o no. Incrementi dei redditi monetari dell’ordine del 20% o anche molto di più, che si registrano a livello individuale su base annua, possono indurre a facili disorientamenti sulla effettiva maggiore ricchezza di cui si dispone, stante che si è entrati nel mercato urbano che ha diversi diritti di proprietà e ha annullato l’autoconsumo e l’accesso ai servizi gratuiti della famiglia o dello stato.
Questo duplice dualismo tra agricoltura e industria e tra aree sviluppate dell’est e aree dell’ovest, porta ad una serie di tensioni assai forti anche sul mercato del lavoro. Se consideriamo le dinamiche della crescita a livello territoriale: nel 2011 Shanghai, che è l’area più internazionalizzata e competitiva della Cina, è cresciuta solo del 4%, manifestando evidenti segni di congestione che si traducono nella crescita dei prezzi delle case e in generale del costo della vita urbana, mentre a Chengdu, capitale della più importante provincia della Cina centrale, collocata a ridosso del Tibet e del Qinhai, cresce ancora del 16%. Lo sviluppo imponente delle infrastrutture in direzione ovest facilita questo processo di decongestionamento delle aree altamente industrializzate e internazionalizzate dell’est.
Il processo si inserisce in un cambiamento a medio termine della struttura della popolazione, che porterà la Cina ad un rapido invecchiamento, con conseguente peggioramento del rapporto tra popolazione attiva e popolazione ritirata per pensionamento. Si noti che la politica illiberale del figlio unico, che si presta a vessazioni e taglieggiamenti da parte della burocrazia, è solo in parte responsabile di questo andamento. Infatti, dal punto di vista sociale è evidente che la Cina è ormai avviata ad una riduzione della fertilità endogena, quella, per intenderci, connessa all’industrializzazione e alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro non agricolo.
Il censimento del 2011, che ha contato un popolazione complessiva di 1,34 miliardi di persone, ha registrato un tasso di fertilità dell’1,4%, assai inferiore al tasso di rimpiazzo del 2,1%, che porta la popolazione alla stabilità. Anche la questione dello squilibrio tra nati maschi e nate femmine (118/100), che testimonia di pratiche di aborto selettivo, non necessariamente va attribuita per intero alla politica del figlio unico, poiché anche in India si assiste a fenomeno analogo, senza che vi siano politiche della natalità coercitive. Ma è certa che anche in questa distorsione la politica del figlio unico contribuisce negativamente sull’andamento demografico limitando la libertà individuale e religiosa.
La politica vessatoria del figlio unico, come sostengono anche autorevoli membri del Partito Comunista e gli accademici che studiano demografia, non si giustifica neppure sotto il profilo del contenimento quantitativo della popolazione: essa potrebbe essere abbandonata senza alcun rischio di tornare a dinamiche demografiche insostenibili. Semmai occorre domandarsi se un così brusco rallentamento e inversione di trend demografico non sia tale da creare problemi seri di sostenibilità finanziaria della spesa pensionistica e sanitaria nei prossimi decenni, e quindi se non siano da auspicare eventuali effetti mitiganti derivanti dalla liberalizzazione della politica demografica. L’invecchiamento comporterà infatti una accresciuta pressione sui servizi sanitari e sui trattamenti pensionistici, riducendo la capacità dello Stato di investire in infrastrutture o di sovvenzionare le aziende pubbliche.
Il raffronto tra la piramide demografica oggi (2010) e quella proiettata al 2030, tracciata con la linea nera dimostra la radicale trasformazione che si realizzerà in due decenni:
Figura 2: Struttura demografica 2010 e proiezioni al 2030
Maschi Femmine
Popolazione in migliaia
Dal 2015 al 2030 il numero assoluto di persone facenti parti della popolazione attiva si riduce continuamente, mentre cresce l’età media, seguendo le dinamiche riportate nella figura seguente. I lavoratori giovani, quelli tra i 20 e 30 anni, quelli dotati di maggiore capacità di apprendimento e di adattamento, si ridurranno del 35% tra il 2010 e il 2030, qualcosa come 75 milioni di persone. D’altra parte i lavoratori con età tra i 55 e i 64 anni aumenteranno del 60% ovvero di 80 milioni (N. Eberstadt, The demographic risks to China’s long-term economic outlook, 24 JAN 11).
Figura 3: Popolazione adulta di 15 anni e più (1970-2010 e proiezioni al 2030) in migliaia
Nonostante il miglioramento del livello di scolarizzazione, i lavoratori più anziani hanno un’educazione più bassa dei giovani e questo pone un vincolo strutturale alla crescita futura della produttività, a causa della divaricazione nell’andamento delle due quote, esemplificata nel grafico che segue
Figura 4: Popolazione per gruppi di età (milioni)
previsioni
Source: The Brookings Institutions.
4. La rivalutazione del renminbi
Alla perdita di competitività dell’economia cinese, dovuta ai margini ridotti di recupero di produttività e alla prospettiva di incrementi salariali e del costo del welfare spinto dalla necessità di recupero di livelli di consumo arretrati, l’effetto della rivalutazione del renminbi (CNY), che dall’avvio della crisi finanziaria è stato molto rilevante.
I due grafici che seguono (United States Federal Reserve Bank of New York) sono eloquenti: dall’inizio della crisi finanziaria (2008) l’euro ha perso oltre il 30% nei confronti del renminbi e il dollaro oltre il 20%, sono margini di competitività recuperati rispettivamente dall’Europa e dagli Stati Uniti.
Figura 5 a: tassi di cambio renminbi/euro
Figura 5b: tassi di cambio renminbi/dollaro
5. L’innovazione e il design
Questi andamenti sono noti al governo cinese, che sta puntando su alcune risposte sistemiche:
1. la creazione di infrastrutture per coinvolgere le aree dell’ovest nel processo di crescita e decongestionare le aree costiere dell’est;
2. spingere sull’innovazione e sul design per irrobustire la fascia delle aziende cinesi in grado di esportare non solo per motivi di prezzo, ma anche per capacità innovativa e qualità del prodotto;
3. gestire un difficile processo di riduzione del dualismo del mercato del lavoro e di disparità nella distribuzione del reddito e del welfare.
La prima risposta è affrontata con energia dal governo cinese, dalle province e dalle municipalità che investono molto, anche facilitati dalla proprietà pubblica dei suoli, che consente di fare cassa e di delocalizzare senza troppi complimenti residenze e attività.
Per la seconda risposta, la Cina sta cercando partner a livello internazionale, per far crescere soprattutto la qualità del tessuto delle PMI, che sono l’area economica con maggiore dinamismo, ma con maggiori problemi di competitività sui profili della qualità e del design.
Qui l’Italia ha un ruolo da svolgere molto significativo: è apprezzato il suo design e anche la struttura produttiva dei distretti. Sarebbe scelta giusta che il governo, anche coordinando l’attività delle regioni e dei parchi scientifici, ponesse l’Italia come interlocutore privilegiato di questo processo di cooperazione, come fece dall’expo di Shanghai in avanti con Italia degli Innovatori, programma di promozione dell’internazionalizzazione delle PMI. E’ il momento giusto per farlo, ci sono opportunità che si aprono, a livello del governo centrale (MOST e CAS), ma anche a livello delle province. Lo dimostra la volontà cinese di promuovere l’attività dei Centri Italia Cina per Innovazione – Design, Trasferimento Tecnologico e E-government, che fino ad ora sono stati mandati avanti dall’Agenzia dell’innovazione e che possono trovare maggiore respiro e risorse nel nuovo assetto determinatosi con la costituzione dell’Agenzia per l’Italia Digitale.
La terza risposta, per il governo cinese, è sicuramente quella più difficile, perché confligge con la rigidità istituzionale e politica del sistema a partito unico e con il timore di quest’ultimo di dovere affrontare l’ instabilità sociale, per la quale ha pochi strumenti che non siano repressivi. Per questo motivo, ben si inserisce, in questo quadro, il tema delle riforme del welfare e della sanità, che sono state faticosamente realizzate, non senza rilevanti risultati, nel nostro paese. In particolare sia le pensioni sia la sanità, rappresentano due soluzioni abbastanza stabili e di eccellenza a livello internazionale.
Di questo il governo cinese è consapevole, anche se poco ha fatto, fino ad ora il nostro paese per “vendere” queste sue eccellenze. Complice un complesso di inferiorità che ci spinge a vedere solo quanto non funziona –è certamente molto- e a non valorizzare quanto funziona. Il Centro per l’e-government Italia –Cina, recentemente avviato a seguito degli accordi di governo del 2008-2009, può svolgere una funzione importante per portare in Cina le applicazioni dell’e-health e del welfare.
E’ importante capire che la Cina non ha tanto bisogno di tecnologie, di cui ormai dispone, ma di esperienze applicative, nelle quali aspetti sociali e gestionali si legano nella gestione intelligente e innovativa dei servizi al cittadino. Quest’area per la Cina è importantissima, anche perché il governo conosce quanto sia fragile il terreno su cui poggia il sistema del welfare cinese e intende procedere alla luce delle esperienze altrui.